Graf Spee, la “corazzata tascabile” di Hitler

È una calda serata del 20 dicembre 1939 quando, nel silenzio di una stanza d’albergo di Buenos Aires, un colpo di pistola mette fine all’epopea della “corazzata tascabile”[1] Graf Spee. A spararlo è il suo ex capitano, il quarantacinquenne Hans Langsdorff (1894-1939), personaggio plasmato dall’istruzione militare prussiana e veterano della Grande Guerra che, avvolto nel vessillo della vecchia Kaiserliche Marine, chiude l’ultimo capitolo della propria esistenza.

Una morte che forse aiuta ad inquadrare la figura di quell’uomo, spesso dipinto come esempio virtuoso dai sottoposti e da chi lo affrontò in battaglia, restituendo l’immagine di una persona dalle indubbie qualità morali. Un ufficiale che, quasi per un crudele scherzo del destino, aveva trascorso la propria giovinezza non lontano dalla casa in cui era vissuto l’ammiraglio Maximilian von Spee (1861-1914), perito nel 1914 al largo delle isole Falkland[2].

Come avrete sicuramente intuito, l’argomento di oggi sarà incentrato sulla parabola di una nave quasi leggendaria per gli appassionati di storia, la Admiral Graf Spee. Essa costituiva uno dei tre incrociatori pesanti appartenuti alla classe Deutschland che, nei primi anni del conflitto, ricoprirono il ruolo di navi corsare al fine di interdire il commercio marittimo alleato. Si trattava della seconda unità insignita di questo nome ma, a differenza dell’omonima, fu l’unica ad essere effettivamente varata e completata.

In linea con quanto visto sulla capoclasse[3] e sulla gemella Admiral Scheer, essa poteva annoverare molteplici soluzioni all’avanguardia: l’utilizzo di uno scafo saldato elettricamente anziché rivettato, così come l’impiego di otto motori diesel da 6.000 cavalli l’uno, le garantivano velocità superiori rispetto alle corazzate dell’epoca, cui andavano aggiunte una potenza di fuoco e una protezione migliori degli omologhi anglo-francesi. Aspetto non meno rilevante, la precisione nel tiro beneficiava dell’impiego di moderni sistemi di puntamento, oltre che di un rudimentale sistema radar: il “Seetakt”.

Durante la guerra civile spagnola, la Graf Spee avrebbe preso parte alle operazioni per contrastare il contrabbando di armi e, successivamente, a numerose crociere addestrative. Nel novembre del ‘38 fu invece il capitano Langsdorff ad assumerne il comando, incarico che avrebbe mantenuto anche il 21 agosto 1939 quando, in un’Europa sempre più vicina al baratro della guerra, ricevette disposizioni dall’OKM affinché si dirigesse nell’Atlantico meridionale. Nondimeno, l’ordine di ingaggio sarebbe arrivato solamente il 3 settembre, ossia due giorni dopo l’inizio della campagna di Polonia.

Grazie ad un apparato logistico ben collaudato, l’unità tedesca poteva rifornirsi dalla nave appoggio Altmark senza rientrare in patria, mentre il ricorso ad alcuni espedienti le avrebbe consentito di sottrarsi alla caccia avversaria. Piuttosto emblematica risultò essere l’aggiunta di fumaioli e di torrette posticci, propedeutici a complicare il lavoro di riconoscimento ad opera dell’intelligence.

Non vi furono però dubbi per i marinai del mercantile Clement che, nella fatidica giornata del 30 settembre, ebbero la sfortuna di incrociarne la rotta: il piroscafo britannico fu il primo delle nove imbarcazioni affondate dalla Panzershiffe[4], procedura invero eseguita nel pieno rispetto delle leggi di guerra. Prima del cannoneggiamento, infatti, i bersagli venivano abbordati e i relativi equipaggi consegnati alla Altmark, a differenza degli ufficiali che venivano direttamente trasferiti sull’incrociatore. Lo stesso Langsdorff si premurava che i prigionieri ricevessero un trattamento dignitoso, come si poté evincere dalle testimonianze rilasciate al momento della liberazione. Una condotta encomiabile che, tuttavia, avrebbe finito col sancire le sorti della nave corsara.

Il 2 dicembre il marconista del Doric Star, settima vittima della Graf Spee, inviò un segnale d’emergenza rivelandone la posizione. Da quel momento in poi, la Royal Navy fece affluire nel quadrante qualsiasi unità disponibile, mettendo in piedi una piccola squadra composta dall’HMS Exeter, dall’HMS Ajax e dall’HMS Achilles. Perché si giungesse allo scontro bisognò invece attendere il 13 dicembre quando, nelle acque antistanti la baia di Montevideo, la corazzata tascabile dovette misurarsi con avversari decisamente agguerriti malgrado l’armamento inferiore.

Benché ciascuno dei contendenti avesse subito danni di varia entità[5], la distruzione degli impianti di dissalazione e di purificazione degli olii convinse Langsdorff a ricercare, malgrado i possibili rischi, una base sicura nel vicino Uruguay[6]. Ai sensi dell’articolo 17 della convenzione dell’Aia (1907), nessuna nave belligerante poteva però sostare in un porto neutrale per più di tre giorni[7], periodo che gli inglesi utilizzarono per diffondere la voce dell’arrivo di un’imponente Task Force. Qualora invece vi fossero stati dei mercantili nemici, il trattato vietava di lasciare l’installazione finché non fossero trascorse almeno 24 ore dalla loro partenza[8]. Questo dettaglio, assieme al rifiuto opposto dai cantieri locali nell’intraprendere i lavori di riparazione, contribuì ad aggravare non poco la situazione tedesca.

Complici le pressioni esercitate dall’OKM che lo spronava ad ingaggiare battaglia, prospettiva irrealistica data la palese inferiorità numerica e tattica[9], l’alto ufficiale non poté che maturare una decisione estrema: nella serata del 17, una volta messo in salvo l’equipaggio e raggiunto il limite delle acque territoriali, egli diede precise disposizioni affinché le cariche esplosive installate in precedenza fossero fatte detonare[10].

Sbarcati a Buenos Aires, gli uomini della Graf Spee furono quindi messi in stato di arresto mentre il loro capitano, dopo aver indirizzato le ultime lettere alla famiglia e ai propri superiori, scelse di seguire il destino della propria nave.

Gianluca Marzari, Niccolò Meta

La Minerva

Classificazione: 5 su 5.

NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

[1]  L’espressione “corazzata tascabile” (pocket battleship) stava ad indicare un’unità munita di una grande potenza di fuoco, invero condensata in un tonnellaggio relativamente limitato.

[2] La battaglia delle Falkland si concluse con una cocente sconfitta per la Kaiserliche Marine: a perdere la vita furono quasi 2.000 marinai imbarcati sugli incrociatori corazzati Scharnhorst e Gneisenau, compresi i due figli dell’ammiraglio Spee.

[3] Timoroso del danno d’immagine causato dall’affondamento di una nave intitolata alla Nazione, nel febbraio del 1940 Hitler ordinò di ribattezzare la DeutschlandAdmiral Lützow”. Sempre in quell’occasione, le unità superstiti vennero riclassificate come incrociatori pesanti.

[4]  Fino al suo affondamento, la Graf Spee fu responsabile della distruzione di almeno 50.000 tonnellate di materiale bellico.

[5] La Graf Spee accusò la morte di 36 marinai più altri 53 feriti, tra cui lo stesso Langsdorff.

[6] Nel corso dell’inseguimento verso la rada di Montevideo, la Graf Spee ebbe la possibilità di affondare un mercantile alleato. Qualche minuto dopo l’avvistamento, essa avrebbe infatti contattato l’Ajax avvisandolo, qualora si fosse verificata una simile evenienza, di provvedere al salvataggio dei superstiti.

[7] È bene sottolineare che, tra riparazioni improvvisate e la sepoltura dei caduti, la Graf Spee sostò nella rada di Montevideo per la quasi totalità delle 72 ore concesse.

[8] Gli inglesi sfruttarono questa clausola facendo salpare diverse navi cargo, espediente necessario per consentire l’arrivo dell’incrociatore pesante HMS Cumberland.

[9] La Graf Spee aveva utilizzato gran parte delle munizioni per le artiglierie principali, mentre quelle secondarie erano state gravemente danneggiate nello scontro de la Plata.

[10] L’unità tedesca aveva preso il mare con un equipaggio composto da una quarantina di persone. Una volta trasbordate su un paio di rimorchiatori argentini, esse sarebbero state trattenute dal governo di Buenos Aires assieme agli altri superstiti, questi ultimi già imbarcati sul mercantile Tacoma.

  • Cecini G., L’incredibile storia della seconda guerra mondialeCapitolo “La guerra sui mari”, Newton Compton Editori, Roma, 2019.

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