Londra, anni ’60: un ragazzino di 15 anni viene arrestato in seguito alla scomparsa della matrigna, deceduta in circostanze sospette. Il resto della famiglia sembra invece soffrire di sintomi legati all’avvelenamento. Malgrado la misura restrittiva, quest’episodio sarà solamente il principio della carriera di un serial killer passato alla storia come “l’avvelenatore delle tazzine da tè”.
La storia che vi racconteremo oggi ebbe inizio nella City il 7 settembre 1947, data in cui venne al mondo il piccolo Graham Frederick Young, seppure sotto una cattiva stella: sua madre Molly, infatti, sarebbe morta appena quattordici settimane dopo a causa della tubercolosi, lutto che non avrebbe mancato di causare il tracollo psicologico del padre. Tali fattori giocarono un ruolo chiave nel convincere il genitore, Frederick, ad affidarlo alle cure della cognata Winnie, che assieme al marito Jack lo avrebbe cresciuto quasi fosse suo figlio.
La permanenza presso gli zii sarebbe tuttavia durata appena tre anni perché Frederick, nel frattempo risposatosi con un’altra donna di nome Molly, decise di riprenderlo con sé separandolo dall’affetto dei propri cari. Un gesto che avrebbe cambiato profondamente il carattere del bambino, tanto da farlo chiudere in se stesso allontanandolo da una routine fatta di giochi, amicizie e ginocchia sbucciate. Aspetto ancor più inquietante, questa separazione contribuì ad alimentare una passione morbosa che mal si conciliava con la sua tenera età, ossia la lettura di biografie incentrate sui crimini commessi da assassini seriali. Piuttosto evidente era la fascinazione esercitata dalla figura di un certo Harvey Crippen, un omeopata che aveva ucciso la moglie somministrandole un’ingente quantità di veleno. Come se ciò non fosse bastato, Graham cominciò a provare un’analoga ammirazione per un altro personaggio storico, invero responsabile della morte di milioni di persone: Adolf Hitler.
Non trascorse molto tempo perché le sue mani si macchiassero di sangue: complice l’interesse per il mondo dell’occulto, egli si sarebbe reso colpevole dell’uccisione di un gatto nel corso di un rito indirizzato a una qualche oscura entità, prima vittima di una mente distorta asservita a una spietata intelligenza. Ciò sarebbe emerso inequivocabilmente alla soglia dei tredici anni, quando l’acquisto di un kit per condurre degli esperimenti chimici si trasformò in un evento foriero di immani disgrazie.
Con il pretesto di dover svolgere alcune ricerche con finalità scolastiche, il ragazzo riuscì a procurarsi un’ampia gamma di sostanze tossiche quali la digitossina[1], l’arsenico e il tallio. Fu proprio un loro mix a costituire il primo cocktail ad essere somministrato, benché in dosi non letali, a un ignaro compagno di classe.
Da quel momento in poi, la vena omicida del giovane sarebbe sfuggita ad ogni controllo. Ogni pasto consumato in famiglia veniva “condito” con i suoi preparati velenosi, attività che però non destava alcun sospetto malgrado i piccoli malesseri avvertiti dai vari componenti. Del resto lo stesso Graham aveva accusato sintomi analoghi, forse per allontanare ogni congettura su un suo possibile coinvolgimento. Fu così che, nella giornata del 21 aprile 1962, l’incolpevole Molly spirò fra atroci sofferenze dopo aver sorseggiato una tazza di tè. Un simile avvenimento, unito agli indizi raccolti sino a quel momento dalla zia e dall’insegnante di chimica, avrebbero condotto l’adolescente sul lettino di uno psichiatra e, in seguito, al suo primo arresto.
Consapevole di avere poche speranze di essere scagionato a causa delle proprie fissazioni e, soprattutto, del rinvenimento di diverse fiale di antimonio, egli confessò di aver tentato di avvelenare un ampio novero di persone quali suo padre, sua sorella e l’amico, ma non la matrigna: il referto autoptico non suggeriva in alcun modo l’assunzione del veleno come potenziale causa del decesso, mentre la scelta di cremare la salma aveva precluso ogni possibilità di riaprire le indagini. La condanna fu comunque pesante: 15 anni di reclusione presso il Broadmoor Hospital, una struttura psichiatrica nella quale venivano trattenuti soggetti affetti dai medesimi disturbi.
Per quanto incredibile possa sembrare, Graham non rinunciò mai alle proprie ossessioni, coltivandole con studi sempre più mirati. Nel 1971, sei anni prima rispetto a quanto previsto dalla sentenza, venne addirittura rimesso in libertà perché ritenuto guarito, una scelta destinata a rivelarsi gravida di conseguenze: egli avrebbe infatti trovato lavoro come magazziniere presso un’azienda di forniture fotografiche[2], posizione che gli avrebbe consentito di accedere a una vasta scorta di tallio utilizzata nella produzione di lenti a infrarossi. Non deve quindi sorprendere se, appena qualche mese più tardi, l’ignaro collega Bob Egle si spense al termine di una breve e dolorosa agonia. Ad oggi sappiamo che la sua morte fu dovuta ad una mistura letale di antimonio e tallio, ma all’epoca si pensò a una grave forma di polmonite.
Young continuò pertanto ad essere visto come un uomo servizievole, talmente gentile da proporsi per la preparazione di bevande destinate agli altri dipendenti che, quasi senza alcuna spiegazione, lamentavano vari sintomi che spaziavano dalla nausea al vomito. La frequenza degli episodi divenne così allarmante che, tra gli abitanti del luogo, si diffuse la voce dell’esistenza di un nuovo virus chiamato “il morbo di Bovingdon“. Possiamo solo immaginare la soddisfazione dell’omicida di fronte a un tale smarrimento, un senso di onnipotenza tale da convincerlo a calcare ulteriormente la mano intossicando altre 70 persone. Nell’autunno del ‘71 fu invece il turno di un’altra vittima, il sessantenne Fred Biggs. Sembra però che la sua dipartita avesse richiesto molto più tempo rispetto a quanto pronosticato dall’avvelenatore, un dettaglio che venne annotato su un macabro diario di cui parleremo nelle prossime righe.
Nel frattempo, una comunità sempre più scossa si interrogava sui metodi per debellare una malattia tanto misteriosa quanto imprevedibile, obbligando le autorità ad intervenire per contenere il panico. Fu proprio allora che, come spesso accade nelle storie che vedono come protagonisti i serial killer, fu lo stesso Graham ad offrire il proprio supporto nella prosecuzione delle indagini. Forse in maniera consapevole, forse perché alla ricerca di un brivido che rendesse la caccia ancora più elettrizzante, indicò nel tallio l’elemento responsabile degli “incidenti” verificatisi sino ad allora, rimproverando la polizia di non aver preso in considerazione una simile eventualità. Sebbene avessero raccolto il suggerimento, gli agenti non avevano mancato di notarne l’ambiguità e, al termine di alcuni controlli sul suo passato, lo posero immediatamente in stato d’arresto (novembre 1971).
Neppure la perquisizione lasciò adito a dubbi: oltre alle sostanze tossiche, infatti, venne rinvenuto quel famoso taccuino nel quale era stata riportata ogni nefandezza, comprese le motivazioni dietro agli assassinii dettati dall’antipatia verso questo o l’altro collega[3]. Al cospetto di prove così schiaccianti, la condanna non poté che essere l’ergastolo.
Graham trascorse il resto della propria esistenza in un carcere di massima sicurezza, dove morì il 1 agosto 1990 per un attacco cardiaco. Sul suo volto, un ultimo segno dell’ammirazione verso il mito della sua infanzia: dei baffi a spazzolino.
Gianluca Marzari, Niccolò Meta
La Minerva
NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
[1] La digitossina è una sostanza estratta dalle piante di digitale.
[2] Per motivazioni mai del tutto chiarite, i suoi datori di lavoro non svolsero alcuna indagine sui motivi per cui Young era stato trattenuto in un ospedale psichiatrico.
[3] Young tentò di giustificarsi parlando di materiale necessario alla stesura di un romanzo a tinte fosche.
De Stefano, B., “I 100 criminali più spietati della storia“, pagg. 287-292. Newton Compton Editori, 2021.