In questi giorni mi è capitato di leggere vari articoli che trattavano in modo tragico (e, a volte, anche demagogico e ipocrita) di una possibile esplosione di rabbia e di rivolte dovuta sia alle misure restrittive imposte per arginare il Covid-19, sia ai possibili effetti che questa emergenza sanitaria sta creando sull’economia nazionale. Quindi, la domanda che si sono posti alcuni storici e politologi è stata la seguente: siamo davvero alla vigilia di una rivoluzione socio-politica? Anche questa volta, lo studio delle rivoluzioni passate può insegnarci molto, ed è perciò doveroso partire dagli albori.
Nel 1954, lo psicologo Abraham Maslow propose un modello di “gerarchia dei bisogni”, cioè una serie di “esigenze” disposte gerarchicamente in base alla quale la soddisfazione delle istanze più elementari è la condizione per fare emergere quelle di ordine superiore: è la c.d. piramide motivazionale. Alla base di tale piramide ci sono le necessità essenziali alla sopravvivenza, le quali sono le prime che l’individuo deve soddisfare attraverso il suo istinto di autoconservazione; subito dopo troviamo i bisogni di sicurezza, che devono garantire al soggetto protezione e tranquillità; seguono quelli di appartenenza (l’aspirazione di ognuno di noi a essere un elemento della comunità), di stima (l’essere rispettato e riconosciuto) e, infine, quelli di autorealizzazione (realizzare la propria identità in base ad aspettative e potenzialità). Il loro soddisfacimento avviene sia con spinte dovute a fattori interni all’individuo, sia in base all’interazione fra questo e l’ambiente esterno1.

Se il bisogno-tipo del cittadino odierno delle attuali economie avanzate si concentra sulla categoria al vertice della piramide (perché quelle inferiori risultano abbastanza soddisfatti), i bisogni-tipo di quello vissuto nell’epoca moderna (1492-1789) si sono concentrati nella parte bassa della stessa, in quanto le esigenze di sicurezza individuale e di difesa contro gli abusi dei ceti superiori, nonché la sicurezza economica, non erano per nulla scontati. Per rendere ancora meglio il concetto, oggi saremmo disposti ad accettare a malincuore una tassa sui nostri risparmi piuttosto che una restrizione del diritto di voto alle donne, mentre nell’Inghilterra degli Stuart la borghesia trovava prioritario che il Re dovesse approvare nuove tasse previo consenso della nobiltà e degli uomini più facoltosi, non dando importanza a tutta una serie di diritti e di libertà inalienabili allora non valorizzati.
Prima di ogni rivoluzione, quindi, c’è una situazione di equilibrio pressoché stabile in cui l’offerta dei bisogni prodotta dall’establishment (che varia nel tempo) uguaglia la domanda di quelli dei cittadini richiesta alle élites.
A un certo punto, però, questo equilibrio generato viene meno sia per casualità sia in modo volontario. La domanda degli individui non riesce più a venire soddisfatta a causa di una serie di motivi endogeni ed esogeni al sistema nel suo complesso. La prima categoria di motivi riguarda il cambiamento di esigenze dei cittadini dovuto a mutamenti del paradigma del pensiero dominante, innescato da una serie di eventi: se nell’età moderna le fasce più povere della popolazione si accontentavano di soddisfare i bisogni di sopravvivenza (come avere un lavoro giornaliero), verso la fine del ‘700 e durante tutto l’800 si affermarono quelli individuali relativi alla libertà, alla sicurezza, alla partecipazione e alla certezza del lavoro. In seguito, una volta appagati questi due, si cercò di soddisfare quelli di appartenenza e di realizzazione attraverso i diritti di gruppo e collettivi, i diritti all’equità intergenerazionale, alla sostenibilità, a un’istruzione gratuita, etc. Talvolta i motivi di queste turbolenze sono dovuti a fattori esogeni, come ad esempio una carestia, una crisi economica o un’epidemia. Ciò ovviamente non esclude che tali fattori possano coesistere: oltre alla richiesta di maggiori diritti e libertà che fece esplodere la rivoluzione francese, gli anni che la precedettero furono segnati da una grande carestia e dalla crisi finanziaria del Regno di Francia, quest’ultima dovuta sia alle guerre passate che alle spese folli della corte di Luigi XVI e dei sovrani passati.
La nascita di simili fattori genera delle tensioni che sono tanto più forti quanto maggiore è la popolazione colpita, sia quanto più le nefaste conseguenze riguardano le necessità alla base della piramide. In ogni epoca storica, infatti, le restrizioni delle libertà individuali e gli effetti perversi del sistema economico che incidono sul benessere dei componenti della società infiammano con più facilità gli animi dei cittadini. La storia insegna che, in tutte le grandi rivoluzioni passate, l’innesco non è stato tanto il rischio o la violazione dei diritti e delle libertà, quanto l’erosione del benessere economico e del diritto alla vita di una parte rilevante della popolazione: le prime erano il combustibile delle rivolte, le secondo l’innesco.
Normalmente portavoce delle istanze dei cittadini e, quindi, dei nuovi bisogni si fanno dei gruppi che prendono il nome di avanguardie rivoluzionarie, le quali raccolgono le energie e le risorse del malcontento popolare per scagliarlo contro quei gruppi dell’establishment. Anche qui i nomi del passato sono noti a tutti: Lenin per la rivoluzione russa, Robespierre e Danton per quella francese, Cromwell per la rivoluzione inglese, e così via. Talvolta i gruppi dominanti ostacolano il cambiamento con mezzi repressivi (si pensi allo C’zar Nicola II Romanov), altre volte lo accettano con qualche riserva sperando e cercando di tornare alla situazione pre-rivoluzionaria (Luigi XVI). Infine, ma raramente lo accettarono in toto (Carlo Alberto durante i moti del 1848 a Torino). Del resto, come insegna Vilfredo Pareto2, se l’élite non è in grado di assimilare i cambiamenti che provengono dal basso, essa è destinata a morire. Talvolta può anche accadere che l’establishment, di fronte all’impossibilità di appagare i bisogni base delle classi subordinate e delle avanguardie rivoluzionarie, cerchi invano di “sviare” tali richieste appagando quelli di ordine superiore, e ciò può essere fatto in vari modi: dando alla “base” un capro espiatorio per soddisfare una sete di rabbia e vendetta (Hitler con gli ebrei); garantendo certi diritti per attenuare il malcontento dovuto all’assenza di altri (si pensi alle monarchie del Golfo, dove esiste un grande welfare sociale ma le libertà civili sono molto precarie), etc… .
Con ciò si voglia tornare alla domanda incipit dell’articolo: nelle economie avanzate ci sono le premesse per una nuova rivoluzione socio-politica, anche pacifica e non per forza sanguinaria? Credo che la riposta sia no. Nonostante le misure restrittive limitino di fatto alcune libertà costituzionali per far fronte alla grave emergenza sanitaria, si tratta di azioni messe in campo dalla politica in modo temporaneo. Certo, vedersi limitati alcuni diritti da un giorno all’altro (e, forse anche qualche multa di troppo) non fa piacere ai cittadini: in ogni caso, non si può affermare che l’establishment non abbia più intenzione di soddisfare i bisogni di libertà e sicurezza. Inoltre, si limitano le libertà per cercare di tutelare un bene più grande, ossia la salute. Quindi, attualmente, non ci sono possibili cause endogene che potrebbero dar vita a vere e proprie rivolte. Occorre infatti ricordare che viviamo in un grande Stato di diritto dove le garanzie, sempre con qualche dovuta eccezione, vengono estese non solo alle persone, ma anche agli animali. Forse, se la situazione rimanesse ancora uguale per molti mesi, la valutazione oggettiva della “base” potrebbe cambiare, ma fortunatamente siamo ancora troppo lontani per fare previsioni attendibili.
Discorso diverso vale per la situazione economica all’orizzonte: questa è in grado di erodere il benessere economico dei cittadini attraverso un aumento della disoccupazione, la diminuzione dei salari, la precarietà sul lavoro e altri conseguenze nefaste. Non riuscire a pagare gli affitti, limitare la spesa per gli alimentari, far fatica a crescere i propri figli potrebbe portare questi individui a un passo più vicino alla rivolta, sostenute dalle quelle frange di portavoce demagogici di ogni schieramento politico. E’ anche vero che gli Stati odierni hanno maggiori risorse e disponibilità rispetto al passato: occorre in ogni caso che l’establishment dia delle risposte concrete: lo stanziamento di fondi a livello nazionale e internazionale, le opere di volontariato da ogni tipo di associazione del Terzo Settore, gli impegni delle imprese nel non licenziare i dipendenti e di mantenere fisso lo stipendio attuale di quest’ultimi, uniti al sostegno dei media, sono tutte azioni che mirano, fortunatamente, al soddisfacimento dei bisogni dei cittadini e a scongiurare possibili rivolte.
Simone Bravo
La Minerva
FONTI BIBLIOGRAFICHE
1Abraham Maslow, Toward a Psychology of Being, 1968.
2E. Rutigliano, Vilfredo Pareto, in Teorie sociologiche classiche, Torino, Bollati Boringhieri, 2015/7.