Gli studiosi della democrazia pongono l’attivismo popolare come elemento importante, se non addirittura determinante, per il rovesciamento di un regime autoritario e l’instaurazione di una democrazia. Quest’assunto appare generico e infondato se applicato al contesto del Bahrein. La piccola monarchia del Golfo, infatti, può vantare un attivismo popolare di lunga data. Sin dagli anni Trenta del Novecento, la popolazione bahrenita è scesa in piazza e ha reclamato libertà e democrazia. Proteste e insurrezioni che, con cadenza decennale, hanno messo in crisi il Paese, ma non l’ultracentenaria monarchia degli Al Khalifa.
Quando si racconta la storia politica del Bahrein, è opportuno fare una distinzione che, di fatto, definisce le due facce del Paese. Da un lato si racconta una storia di attivismo e mobilitazioni che hanno da sempre caratterizzato la popolazione bahrenita, dall’altro una storia di abusi, violazioni e promesse democratiche puntualmente disattese, che delineano il carattere della famiglia reale.
Gli Al Khalifa si sono insediati nel Paese nel 1783, sperimentando i cambiamenti politici che nel tempo hanno caratterizzato non solo la politica interna al Paese, ma anche trasformazioni che hanno modificato gli equilibri a livello regionale.
Ma come si instaura e consolida un regime autoritario ultracentenario come quello degli Al Khalifa?
La regione del Golfo ha vissuto tre grandi epoche[1]. Fino al XVII secolo, la regione fu caratterizzata da un’economia fiorente e da una straordinaria armonia sociale, con la coesistenza pacifica delle tribù del deserto e dei mercanti della città.
La seconda fase fu caratterizzata dal colonialismo britannico. In questa fase, una serie di accordi che legarono il Regno Unito ai Paesi del Golfo diedero vita al cosiddetto “sistema della tregua”.
Infine, il terzo periodo iniziò con la scoperta del petrolio e con una serie di trasformazioni sociali che definirono ovunque nell’area la transizione da società tribali a Stati moderni. In altre parole, dunque, risale a questa fase la nascita dell’apparato burocratico che caratterizza gli autoritarismi dell’area. Senza dimenticare l’apporto che il Regno Unito diede per il consolidamento e la resistenza di questi regimi autoritari nel tempo.
Dunque, il colonialismo britannico e la ricchezza petrolifera furono un sostegno importante per il consolidamento degli Al Khalifa in Bahrein, e sostennero apertamente la famiglia reale nell’opporsi alle ondate rivoluzionarie che hanno colpito il Paese nel corso del XX secolo. Da un lato il Regno Unito contribuì alla trasformazione sociale del Bahrein da una società tribale a una società moderna e sostenne il consolidamento degli Al Khalifa nel Paese, dall’altro la ricchezza petrolifera facilitò la creazione di uno stato di polizia più che di un Welfare State.
La situazione politica, tuttavia, non cambiò dopo l’indipendenza del Bahrein nel 1971. Se da un lato il Paese perdeva l’alleanza del Regno Unito, dall’altro guadagnava il supporto degli Stati Uniti e, soprattutto, dell’Arabia Saudita.

Approfondendo la tematica dell’autoritarismo in Bahrein[2], si può dire che gli elementi alla base della resilienza del regime alle ondate rivoluzionarie sono, da un lato, un forte apparato coercitivo statale costituito dalle forze di sicurezza e dal sistema giudiziario, dall’altro una serie di alleanze strategiche. Accanto a questo, fondamentale risulta essere l’ideologia che il regime si è impegnato a diffondere nelle scuole, nelle moschee e in ogni luogo pubblico. Una retorica settaria che vede il Bahrein come popolato da Arabi Sunniti leali alla monarchia, in opposizione agli Sciiti, che sono pericolosi perché leali all’Iran.
Se da un lato lo stato di polizia e le alleanze strategiche possono essere capisaldi di un qualsiasi regime autoritario, dall’altro la solidità e la resilienza dell’ultracentenaria monarchia degli Al Khalifa risiede proprio in caratteri interni alla famiglia stessa.

All’interno della famiglia reale si possono distinguere frange più estremiste e frange più moderate. Gli estremisti ricoprono le cariche più importanti nel Paese, come Khalifa bin Salman Al Khalifa, che è il Primo Ministro, e i Khawalid, ossia i discendenti di Khalid b. Ali al Khalifa. Oggi, all’interno dei Khawalid, troviamo il Ministro della Difesa e il Comandante dell’esercito Khalifa b. Ahmad; suo fratello Khalid b. Ahmad, Ministro della Corte Reale; Ahmad b. Atiyya Allah, suo nipote. I due fratelli Khawalid sono ritenuti i responsabili della repressione della rivoluzione del 2011[3]. Questi ultimi si possono definire come la frangia più estremista e più conservatrice all’interno della famiglia reale, con sentimenti anti sciiti e anti riformisti.
Tra i membri più moderati della famiglia reale troviamo il re Hamad ibn Isa Al Khalifa e suo figlio, il principe reale Salman bin Hamad, i quali proposero alcune riforme democratiche (seppur limitate) per garantire ai cittadini più libertà. In ogni caso, i riformisti all’interno di un governo autoritario generalmente incontrano l’ostilità dei più conservatori, e certamente fanno i conti anche con la volontà di rimanere al potere.

Settarismo e repressione militare sono, dunque, le due principali strategie che il regime degli Al Khalifa ha adottato nel corso del tempo per mantenere ben saldo il potere in Bahrein. Ma sarebbero state sufficienti senza un adeguato supporto esterno? La piccola monarchia del Golfo riveste un ruolo strategico importante nell’area. Rompere gli attuali equilibri significherebbe riscrivere una storia che non riguarda soltanto la geografia del Medio Oriente, ma anche dell’intero Occidente.
Alessia Caizzone
La Minerva
FONTI BIBLIOGRAFICHE
[1] J.Crystal, Authoritarianism and its adversaries in the Arab World, World Politics, Vol. 46, No.2, 1994, pp. 262-289, p. 268 https://www.jstor.org/stable/2950675
[2] N.Husayn, Mechanism of Authoritarian Rule in Bahrain, Arab Studies Quarterly, Vol. 37, No.1, 2015, pp. 33-53, p. 33 https://www.jstor.org/stable/10.13169/arabstudquar.37.1.0033
[3] N.Husayn, Mechanism of Authoritarian Rule in Bahrain, Arab Studies Quarterly, Vol. 37, No.1, 2015, pp. 33-53, p. 33 https://www.jstor.org/stable/10.13169/arabstudquar.37.1.0033