Lo scoppio della prima guerra mondiale ha sancito l’inizio di un conflitto, secondo alcuni terminato solamente il 2 settembre 1945, che ha causato un numero spaventoso di vittime, con stime che rimangono ancora oggi incalcolabili.
In quella che doveva essere l’epoca in cui l’uomo avrebbe dominato la natura grazie al progresso tecnologico, trascendendo l’arte e riscoprendo l’essenza più autentica della bellezza, egli scelse invece di votare questo sapere alla causa della morte e della devastazione.
Oltre alle milioni di persone che lasciarono per sempre le loro vite, ve ne furono altrettante che vi fecero ritorno con addosso le cicatrici della guerra: laddove prima vi erano state labbra, nasi e occhi, ora rimanevano le terribili voragini di quelli che, nella stragrande maggioranza dei casi, erano stati soltanto carne da cannone da gettare in qualche inutile offensiva, figlia di tattiche non più al passo con l’evoluzione delle nuove armi.
Quella che racconteremo oggi è la storia di un’artista, Anna Coleman Ladd, che dedicò parte della propria esistenza cercando di rendere meno dolorosa quella dei soldati che, avendo subito menomazioni al volto tali da renderne quasi impossibile l’autoaccettazione, li accompagnò lungo un percorso di reinserimento nella società civile.
La vicenda di Anna non ebbe tuttavia inizio il 28 luglio 1914, bensì nell’estate del 1878: nata negli Stati Uniti da una famiglia con discrete possibilità economiche, ella cominciò ben presto a sviluppare un‘autentica passione per l’arte che, in quanto tale, avrebbe coltivato con assoluta dedizione e inestinguibile zelo. Da qui la scelta di trasferirsi nel Vecchio Continente dove, tra una pausa e l’altra dai propri studi, ebbe modo di frequentare i caffé parigini e quelli della “Città Eterna”. Nel 1905, fresca del matrimonio con il pediatra Maynard Ladd, fece quindi rientro nella città natale di Boston, dove diede alla luce due bambine.
La sua vocazione non venne comunque messa in discussione dalla maternità, e nel 1914, anno in cui le fiamme del conflitto avvolsero l’Europa intera, la sua carriera artistica era in pieno fermento: aveva scolpito opere di successo, organizzato eventi culturali dalla vasta eco, nonché realizzato ritratti di personaggi iconici come quello della “divina” Eleonora Duse, grande amore del poeta italiano Gabriele d’Annunzio.
Nondimeno la guerra, alla stregua di un sasso lanciato nelle acque di uno stagno, generò delle onde che a poco a poco avrebbero lambito anche l’America. Rivestendo la professione medica, nel 1917 Maynard venne chiamato a servire sotto le insegne della Croce Rossa statunitense, con Anna che si risolse ad accompagnarlo in una Francia profondamente diversa da quella che aveva conosciuto e amato durante la propria giovinezza. Un’intenzione destinata a tradursi in un nulla di fatto, in quanto le donne erano diffidate dal seguire i loro coniugi al fronte.
La voglia di offrire il proprio contributo avrebbe però spinto la nostra protagonista ad entrare in contatto con Francis Derwent Wood, fondatore del Dipartimento Maschere per Visi Sfigurati di Londra. Simili lesioni erano infatti tra le poche sulle quali era possibile esercitare un qualche grado di intervento, aiutando le vittime a reintegrarsi nei contesti in cui erano vissuti fino allo scoppio delle ostilità. Anna ottenne così il permesso di recarsi a Parigi, dove trovò impiego in una struttura finalizzata alla realizzazione di maschere facciali: lo “Studio for Portrait-Masks“
Il metodo di lavoro era piuttosto articolato, consistendo nello studio del volto del soggetto che, nei casi più gravi, imponeva il ricorso a delle fotografie. In seguito si sarebbe provveduto al calco utilizzando dell’argilla o della plastilina, materiali facilmente plasmabili che andavano lavorati sino all’ottenimento di una protesi grezza. L’ultima operazione sarebbe stata invece la creazione di una maschera in rame zincato, invero molto sottile e leggera, alla quale sarebbero stati aggiunti ulteriori dettagli come le ciglia e i baffi, ma soprattutto una colorazione più simile a quella dell’incarnato del paziente.
Sebbene gli strumenti e le tecnologie disponibili non fossero quelli di oggi, i risultati erano talvolta sorprendenti. Ciò tuttavia non poteva nascondere una lunga serie di limitazioni: essendo prive di nervi e di muscolatura, tali appendici impedivano qualsiasi forma di espressività, mentre la gravità delle ferite pregiudicava operazioni elementari come la deglutizione e la masticazione. Nondimeno, Anna avrebbe proseguito la propria attività anche nel primo dopoguerra, tanto che il governo francese la insignì della prestigiosa Legion d’Onore. Rientrata negli States, la Ladd si spense nella propria casa in California all’età di soli sessant’anni, a distanza di appena pochi mesi dallo scoppio di un nuovo e ancor più sanguinoso conflitto.
Gianluca Marzari, Niccolò Meta
La Minerva
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
- Khazan O., Masks: The Face Transplants of World War I, The Atlantic, 2014;
- Alexander A., Faces of War, The Smithsonian Magazine, 2007;
- Coleman Ladd A., The Work of Anna Coleman Ladd, Nabu Press , 2012.