3 aprile 1922, Russia sovietica

Iosif Vissarionovič Džugašvili (1878-1953), noto ai più con lo pseudonimo di Stalin (acciaio), assume la carica di Segretario Generale del Partito Comunista Russo[1]. È il primo passo verso l’edificazione di un sistema monocratico e iper-burocratizzato, necessario a garantirne la presa sull’intera società civile.

Il rapido declino delle condizioni salutari di Lenin (1870-1924), vittima di tre ictus che ne avevano irrimediabilmente compromesso l’integrità psicofisica, aveva offerto il terreno ideale perché si scatenasse una feroce lotta per la successione. Quando accadde l’inevitabile, il 21 gennaio 1924, il leader bolscevico non aveva infatti designato alcun erede politico: Nikolai Bucharin (1888-1938), esponente di rilievo dell’ala destra, era stato accusato di “non aver mai appreso e, forse, mai compreso appieno la dialettica marxista”; Lev Trockij (1879-1940), fondatore dell’Armata Rossa e Commissario per il popolo agli Affari Militari, fu invece ritenuto colpevole di aver curato “il solo lato amministrativo dei problemi”; infine, Stalin venne presentato alla stregua di un uomo brutale, rozzo e inadatto a svolgere il ruolo per il quale era stato scelto, arrivando persino a caldeggiarne la sostituzione.

Negli anni a venire, i rapporti di forza in seno al Politbjuro sarebbero stati scanditi da un continuo alternarsi di accordi di convenienza. Basti pensare a come, già nel corso del 1922, il rivoluzionario georgiano si fosse legato all’allora Vicepresidente del Consiglio dei Commissari del Popolo, Lev Kamenev (1883-1936), e al Presidente del Comitato Esecutivo dell’Internazionale, Grigorij Zinov’ev (1883-1936), per scongiurare un eventuale smantellamento della Nuova Politica Economica (NEP)[2]. Altro motivo di frizione fu rappresentato dalla querelle fra i sostenitori della “rivoluzione permanente” e i teorici del “socialismo in un solo Paese“: i primi vedevano nell’URSS una piattaforma di lancio da cui guidare la riscossa del proletariato mondiale; i secondi, memori del coinvolgimento dell’Intesa durante il conflitto coi Bianchi (1918-1922), propendevano al contrario per un approccio più cauto e difensivo.

A partire dal 1925, le fondamenta di questa troika iniziarono a vacillare finché, nel luglio successivo, Zinov’ev e Kamenev non si schierarono al fianco di Trockij nella crociata contro la NEP. È opportuno sottolineare quanto, tra i diversi fattori che avevano condotto a un simile colpo di scena, figurasse l’eccessivo rafforzamento del Segretario Generale rispetto ai suoi ex alleati, propedeutico ad assicurarne il controllo sulla macchina statale. Nel 1927, i ripetuti appelli per neutralizzarne le trame sarebbero loro valsi la temporanea estromissione dal Partito e, nel caso di Trockij, l’esilio forzato ad Alma Ata (31 gennaio 1928)[3].

Una volta sconfitta l’opposizione interna, il leader del Cremlino poté imprimere una brusca accelerazione al decollo industriale sovietico riesumando, a dispetto di qualunque previsione, il programma stilato in precedenza dalla sinistra bolscevica: al termine di un incontro tenutosi nell’aprile del 1929, l’Ufficio Centrale per la Pianificazione Economica (Gosplan) avrebbe infatti varato il primo piano quinquennale (1928-1932), privilegiando l’impetuoso sviluppo dell’industria pesante e dei mezzi produttivi. Nondimeno, per sostenere un tale programma di crescita fu necessario importare moderni macchinari dall’Occidente, il cui costo venne bilanciato attraverso un drastico incremento delle esportazioni di grano. Coloro che si ribellarono ai disegni governativi come i kulaki, contadini benestanti che avevano costruito la propria fortuna sulla NEP, vennero puniti col confino nei gulag o con l’eliminazione fisica.

Lungo documentario dedicato alla vita di Iosif Stalin, tratto dalla collana Apocalypse: la seconda guerra mondiale.

Appena qualche mese più tardi, l’applicazione del “metodo uralo-siberiano” fu estesa alle campagne di tutta l’Unione. Individui forgiatisi durante la guerra civile adottarono provvedimenti estorsivi per obbligare i braccianti a entrare nelle fattorie collettive, i kolchozy e i sovchozy, dove una percentuale di quanto prodotto veniva restituita sotto forma di salari o di beni necessari alla sussistenza. Non ci volle molto perché la collettivizzazione producesse i suoi effetti: benché si fosse ovviato all’annoso problema dei rifornimenti delle città, la carestia che colpì il Paese fra il 1932 e il 1933 palesò gli squilibri intrinseci nel sistema, reclamando le vite di oltre 7 milioni di cittadini. Invece di assicurare l’invio degli aiuti sanitari, le autorità di Mosca scelsero di tenere l’opinione pubblica all’oscuro dell’emergenza, alimentando in tal modo una strage di vastissima portata. Soltanto l’insieme di questi fattori contribuisce a spiegare il perché dietro all’esplosione, a cavallo fra gli anni ’20 e ’30, dei fenomeni di inurbamento.

Nel frattempo, Stalin aveva profuso ingenti risorse nell’edificare il culto della propria personalità. La stagione del consenso organizzato non si sarebbe infatti esaurita nella sola repressione totalitaria, né tantomeno nell’esaltazione dei traguardi raggiunti dall’establishment: il movimento intellettuale in vigore sino alla caduta del regime, quello del realismo socialista, venne ufficializzato nel 1934 per inquadrare le arti nelle logiche della Rivoluzione proletaria.

Il timore per cui rimanessero fazioni ostili al nuovo corso non si placò neppure con l’allontanamento di Trockij: fra il 1930 e il 1931 si svolsero alcuni processi ai danni del cosiddetto partito degli industriali, “reo” di aver tramato coi nemici di classe per impedire il conseguimento degli obiettivi indicati nel piano quinquennale. Poco dopo, nel 1932, il gruppo coagulatosi attorno alla figura di Martem’jan Rjutin (1890-1937) fece circolare un documento nel quale sollecitava le dimissioni del Segretario, giustificandole con la condotta irresponsabile da egli tenuta. Fu però l’assassinio di Sergej Kirov (1 dicembre 1934), membro del Politbjuro e capo dell’organizzazione leningradese, a offrire il pretesto perfetto per una campagna di epurazioni contro la frangia anti-staliniana emersa dal XVII Congresso, definito con prematura baldanza “dei vincitori”.

Nei mesi immediatamente successivi Kamenev, Zinov’ev e molti altri ancora furono imprigionati con l’accusa di alto tradimento, preludio di una loro condanna a morte. La comminazione delle pene sarebbe arrivata al termine di procedimenti sommari dove le confessioni, estorte con la violenza psicologica o la tortura, confermavano l’esistenza di atteggiamenti cospiratori tesi a indebolire la madrepatria. Nel giugno del ‘37 fu la volta del maresciallo Tuchačevskij (1893-1937) e del corpo ufficiali delle forze armate, presto seguiti dagli esponenti della destra bolscevica quali Bucharin e Aleksej Rykov (1881-1937). La scure delle Grandi Purghe non risparmiò nemmeno i collaboratori più intimi di Stalin come Nikolaj Ežov (1895-1940) e Genrich Jagoda (1891-1938), entrambi alla guida del Commissariato del Popolo per gli Affari Interni (NKVD).



Niccolò Meta

La Minerva

Classificazione: 5 su 5.

NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

[1] In origine il Segretario Generale del Comitato Centrale del Partito Comunista Russo (bolscevico), carica istituita durante l’XI Congresso del PCR(b), svolgeva un ruolo puramente amministrativo.

[2] Con la Nuova Politica Economica (NEP) venne introdotta un’economia mista ove le piccole attività e l’agricoltura venivano affidate alla gestione privata, mentre allo Stato spettava il monopolio delle banche, del commercio con l’estero e dei grandi complessi industriali, organizzati in trust.

[3] Trockij venne definitivamente espulso nel gennaio del 1929, ottenendo asilo politico dai governi turco (1929-1933), francese (1933-1935), norvegese (1935-1936) e messicano (1937-1940). Morì il 20 agosto 1940 per mano di Ramón Mercader (1913-1978), un agente operativo del NKVD.

  • Cigliano G., “La Russia contemporanea. Un profilo storico”, Carrocci Editore, 2013, Roma.
  • Valle R., “La metamorfosi della dittatura in Russia dall’età moderna all’età contemporanea”. Rubbettino Editore, 2012, Soveria Mannelli.

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