Per garantire una trattazione esaustiva di un conflitto poco noto al grande pubblico, è opportuno stilare una breve introduzione sulla rinascita della Polonia e sulla sua lotta ancestrale per la sopravvivenza.
Quando il Paese riemerse dalle proprie ceneri, nel novembre del 1918, lo fece dopo oltre 120 anni dalla sua scomparsa. Il fatto che si sia trovato fin da subito a guerreggiare con una pletora di vicini, pertanto, ha già dell’incredibile.
In realtà il popolo polacco era sceso in armi ancor prima del suo affrancamento ufficiale, insorgendo contro la Repubblica di Weimar e affrontandone sia l’esercito regolare, sia i temibili Freikorps. Ma non è tutto: alla vigilia delle ostilità con la Russia, si misurò addirittura con le due repubbliche ucraine, con la Lituania e con la Cecoslovacchia, quest’ultima per via di una piccola contesa a livello territoriale.
UNO SGUARDO AL PASSATO: LE TRE SPARTIZIONI DELLA CONFEDERAZIONE POLACCO-LITUANA
Alcuni si saranno chiesti per quale motivo la Polonia, alla svolta del ‘900, non esistesse come nazione indipendente. Un interrogativo legittimo, se si pensa che la Confederazione polacco-lituana è stata una delle realtà più potenti e geograficamente estese del Vecchio Mondo.
Sin dalla metà del ‘600, essa aveva intrapreso la via del parlamentarismo: nondimeno, una simile scelta aveva finito col rendere le elezioni del monarca suscettibili dell’influenza esterna, tanto che nel volgere di un secolo il regno divenne un vassallo degli zar. È doveroso puntualizzare quanto quest’avvicinamento fosse il prodotto di una cronica debolezza sui piani politico e militare, visto che già all’epoca Berlino rivendicava l’area del “corridoio di Danzica” per unire i territori occidentali a quelli orientali.
Quando Stanislao Augusto accettò la Costituzione impostagli da Caterina la Grande, la nobiltà polacca reagì ponendosi alla testa di una rivolta che condusse, nel 1768, alla nascita della Confederazione di Bar. Quattro anni dopo, le forze irregolari dovettero però arrendersi di fronte alla superiorità dei russi, coadiuvati dalle milizie prussiane e austriache nell’ambito di un disegno predatorio.
A questa spartizione (1772) ne seguì ben presto una seconda (1793), premessa per una nuova sollevazione sotto l’egida del brillante Tadeusz Kościuszko[1]. Malgrado fosse riuscito a mettere in seria difficoltà gli invasori, nulla poté scongiurarne la disfatta e, in ultima istanza, la cancellazione della Polonia dalla scena internazionale (1795)[2].
I DIFFICILI ANNI DEL DOPOGUERRA, DALLA SOLLEVAZIONE DELLA “GRANDE POLONIA” AL PROGETTO “INTERMARIUM”
Neppure due mesi dopo l’epilogo della Grande Guerra, il 27 dicembre 1918, i polacchi alimentarono molteplici disordini dietro incitamento del pianista Ignacy Paderewski. Gli scontri si protrassero fino al 28 giugno 1919, quando la firma del Trattato di Versailles sancì la rinascita dell’antico Stato centro-europeo.
Fu così che Varsavia ottenne dall’ex impero tedesco quei territori che furono teatro della grande insurrezione, nello specifico parte della Prussia orientale, di quella occidentale e, nel 1921, dell’Alta Silesia.
Invece di annettere manu militari le regioni ancora contese, l’allora capo di Stato e comandante supremo Józef Piłsudski tentò di promuovere, senza particolare successo, una federazione che includesse quegli attori intenzionati a tutelarsi dal revanscismo russo e germanico[3]: la Miendze Mosge, meglio nota attraverso la formula latina di Intermarium (letteralmente “fra i mari”),
A sancirne il fallimento non fu solo la diffidenza delle etnie che avrebbero dovuto farne parte, timorose di cadere sotto un’influenza diretta della Polonia, ma anche l’ostilità di molti connazionali quali il politico Roman Dmowski, fautore di un modello incentrato sull’identità nazionale e religiosa.
Quindi, adducendo come pretesto l’autodeterminazione dei popoli e una presunta superiorità culturale, la giovane repubblica mosse guerra alle realtà confinanti emerse dalla dissoluzione degli imperi centrali e zarista, arrivando persino a dilagare in Bielorussa e in Ucraina. Un azzardo, questo, che non mancò di provocare la violenta reazione dei Bolscevichi.
LA RICOSTITUZIONE DELL’ESERCITO POLACCO
Al fine di contrastare la carenza di personale che affliggeva le forze armate, nel febbraio del ’19 venne istituita una leva obbligatoria che avrebbe dovuto mobilitare 600.000 persone. Ad esse andavano sommati coloro che avevano partecipato alle rivolte nella Wielkopolska, gli ex prigionieri di guerra e i patrioti sopraggiunti da ogni angolo del globo, per una totale di quasi 100.000 effettivi. È bene puntualizzare quanto un simile coacervo, nato dalla fusione dei contingenti appartenuti agli eserciti teutonico, russo e austro-ungarico, condividesse alcune problematiche già riscontrate nell’Italia post-unitaria: la persistenza di barriere linguistiche significative, tali da rendere difficoltosa la trasmissione degli ordini lungo la catena di comando; l’estrema diversità nelle dotazioni belliche e nell’addestramento.
Degno di menzione è inoltre il contributo offerto dai 400 membri della delegazione militare francese, tra i quali spiccava un giovane Charles de Gaulle[4]. Promosso al rango di maggiore, il futuro Presidente della Repubblica non avrebbe tardato ad assimilare le lezioni apprese durante il conflitto, rielaborandole sotto forma di una dottrina mobile basata sulla componente meccanizzata.
In un momento così critico, il compito di rimpinguare i reparti in prima linea ricadde sui volontari della milizia, una formazione eterogenea composta da studenti e da uomini in età avanzata. Anche le donne diedero il loro apporto decisivo, prestando servizio nei ruoli di infermiere, portaordini, marconiste e, nel caso delle “Amazzoni della Polonia”, combattendo contro i sovietici.
Non meno cruciale nel garantire la vittoria dei polacchi fu il lavoro svolto dall’intelligence: un anno prima della battaglia di Varsavia (12-25 agosto 1920), il luogotenente Jan Kowalewski violò infatti il codice avversario grazie alle intuizioni dei matematici dell’Università di Leopoli. Un’impresa che sarebbe stata replicata nel decennio successivo, quando i crittografi Marian Rejewski, Jerzy Różycki e Henryk Zygalski riuscirono a decodificare, già nel corso del ‘32, diversi messaggi elaborati dalla macchina “Enigma”[5].
UNO SGUARDO AI NUMERI: POLACCHI CONTRO SOVIETICI
Nell’agosto del 1920, grazie alla chiamata alle armi e all’adesione spontanea di migliaia di volontari, le forze polacche schieravano all’incirca 800.000 effettivi, 385.000 dei quali impegnati al fronte. Dal canto loro, i russi potevano disporre di 800.000 soldati in servizio attivo[6], malgrado lo sforzo bellico fosse in gran parte assorbito dalla guerra coi “Bianchi”.
Gli uomini di Piłsudski godevano però di un sensibile vantaggio in termini corazzati: ben 2 brigate di carri leggeri Renault FT, affiancati da un altro centinaio di autoblindo.[7] Al contrario, Mosca aveva dalla sua soltanto una manciata di veicoli da combattimento (AFV)[8], i più destinati a missioni ricognitive o di supporto alla fanteria.
GLI ERRORI DEI SOVIETICI DURANTE LA BATTAGLIA DI VARSAVIA
In un celebre bollettino rivolto ai combattenti del Fronte Nord-Occidentale, il maresciallo Michail Tuchačevskij sentenziò:
«La strada che ci porterà a infiammare il mondo risiede sotto il cadavere della Polonia bianca. Sulla lama delle nostre baionette porteremo pace e felicità alle masse lavoratrici! Avanti verso ovest! A Varsavia!»[9]
Queste poche righe sono sufficienti per capire quanto le sfere politica e militare, come spesso accade nei conflitti di qualsiasi epoca, tendano a intrecciarsi in maniera indissolubile, e che gli errori compiuti sul campo risentano delle scelte prese lontano dal furore della battaglia. Basti pensare che, nelle settimane antecedenti l’offensiva finale, lo Stato Maggiore dell’Armata Rossa ignorò gli appelli del proprio comandante per assediare la città di L’vov, obiettivo di secondaria importanza rispetto agli ambiziosi disegni indicati da Lenin e Trockij.
Ma quali furono le ragioni dietro a una condotta così irresponsabile?
Probabilmente si diede per scontato che Tukhacevsky, essendo ormai alle porte della capitale avversaria, fosse sul punto di vincere, e per puro spirito di rivalità si rifiutarono di appoggiarlo. Inoltre, è noto che diverse figure del regime nutrissero seri dubbi circa la fattibilità della “Rivoluzione permanente”. Forse si trattò di una combinazione di entrambi gli aspetti. Ad ogni modo, l’idea di diffondere le conquiste dell’Ottobre in Europa si risolse in un clamoroso fallimento, e ciò contribuì in misura determinante a perorare la causa del “Socialismo in un solo Paese”.
Alla stregua di quanto avvenuto nei due articoli sul carro armato, ciò che avete letto è solo un estratto delle tematiche analizzate, in maniera molto più strutturata, nel primo approfondimento della serie “La guerra sovietico-polacca 1919- 21”. Se non avete ancora soddisfatto la vostra sete di curiosità, questo è il momento giusto per godervi l’ottimo video realizzato dal canale YouTube Parabellum.
Buona visione!
Mirko Campochiari, Niccolò Meta
La Minerva
NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
[1] Oltre ad aver guidato l’insurrezione del 1794, Tadeusz Kościuszko fu veterano della Rivoluzione americana: imbarcatosi come ingegnere, finì col diventare generale di brigata dell’esercito statunitense.
[2] Per amor di precisione occorrerebbe citare la parentesi del Ducato di Varsavia (1807-1815), il quale però era uno Stato cliente di Parigi.
[3] In un primo momento si pensò a un’alleanza con la Lituania, la Bielorussia e l’Ucraina, salvo poi estendere la proposta alla Romania, alla Finlandia, all’Estonia e alla Lettonia.
[4] Inquadrato nello Chasseur Polonais dell’Armée bleue, de Gaulle si distinse durante le operazioni lungo il fiume Zbrucz. Venne insignito della più alta onorificenza militare polacca, la Virtuti Militari.
[5] Un simile traguardo fu raggiunto grazie al dispositivo “Bomba” e alle rivelazioni della spia “Asche”. L’entrata in servizio del nuovo modello a cinque rotori, tuttavia, complicò sensibilmente l’opera di decrittazione di Enigma. Gli studi condotti da Rejewski furono passati, durante la seconda guerra mondiale, ai britannici.
[6] Si stima che, nell’agosto del 1920, l’Armata Rossa disponesse di almeno 5.000.000 di uomini. 2.000.000 di questi erano dispiegati sul fronte interno.
[7] Tali numeri consentirono ai polacchi di schierare la quarta forza corazzata al mondo.
[8] Si sta parlando di 100-150 autoblindo. La cifra riportata nel testo si riferisce ai mezzi impiegati sul fronte polacco, non alla loro totalità.
[9] In più occasioni, Tuchačevskij chiese di mobilitare tutte le forze disponibili lungo il fronte della Vistola, così da espugnare la città di Varsavia. I suoi appelli caddero però nel vuoto, come specificato nel prosieguo dell’articolo.
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L’ha ripubblicato su La Minerva.
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