In questo secondo e ultimo appuntamento dedicato alla guerra sovietico-polacca, ci soffermeremo sull’episodio più significativo dell’intero conflitto: la difesa di Varsavia.
Dopo aver stretto un’alleanza con Symon Petliura e catturato la città di Kiev, le truppe di Piłsudski avevano dovuto ripiegare sotto i colpi dell’offensiva di Budyenni che, al comando della 1ª Armata a cavallo, riconquistò la capitale ucraina respingendo gli aggressori fino alle porte di L’vov. Parimenti, Yegorev e Tuchačevskij avevano proseguito la loro fulminea avanzata su Lublino e sulla Vistola, inanellando una serie di vittorie che lasciarono presagire un epilogo imminente delle ostilità.
La situazione nella quale versava la giovane repubblica era, in effetti, piuttosto critica: disorganizzato, numericamente inferiore e prostrato nel morale, il suo esercito poteva avvantaggiarsi del solo accorciamento delle linee logistiche.
Oramai consapevole della gravità del momento, l’energico Maresciallo si era risolto a inviare, presso il Concilio Supremo Alleato, il premier Władysław Grabski e il capo di stato maggiore Tadeus Rozwadowski (giugno 1920): scopo della missione era quello di ottenere l’indispensabile supporto economico e militare, anche se il contributo offerto in tal senso non mancò di rivelarsi del tutto inadeguato alle esigenze belliche.
Verso i primi di agosto, la ritirata dei polacchi aveva comunque assunto i contorni di un ridispiegamento graduale e ben organizzato, mentre le trattative per il cessate il fuoco con la controparte sovietica andavano concludendosi in un totale fiasco.
I PIANI DI PIŁSUDSKI E DI TUCHAČEVSKIJ
A meno di una settimana dall’inizio della battaglia, Piłsudski elaborò il piano che avrebbe risparmiato al Paese l’onta della sconfitta. A questo proposito è opportuno sottolineare come, nel corso degli anni, siano state sollevate molteplici obiezioni sulla sua paternità, con diversi storici concordi nell’attribuirla al summenzionato Rozwadowski.
In ogni caso, la strategia approntata dallo Stato Maggiore contemplava un atteggiamento difensivo nel settore nord, contrattaccando in misura limitata per accumulare quante più riserve possibili intorno a Lublino. L’obiettivo di una simile forza d’urto (Grupa Uderzeniowa) era infatti l’aggiramento delle unità dislocate appena fuori Varsavia, colpendole da sud e da est in modo da precludere qualsiasi via di fuga. Ciò che gli alti ufficiali sembravano però ignorare era che la zona scelta per l’affondo coincidesse, all’atto pratico, con il punto di giunzione tra i due fronti avversari, e che fosse unicamente presidiata da un paio di divisioni assistite dal gruppo “Mozyr”.
Quali erano invece i disegni dei sovietici? È lecito affermare che la loro tattica ricalcasse quella con cui Ivan Paskevich aveva sedato, sul finire del 1831, l’infruttuosa rivolta di novembre: un assalto di vaste proporzioni diretto contro la città stessa, sostenuto da una manovra avvolgente attraverso la Vistola; dunque Tuchačevskij non intendeva guadare il fiume solo da nord-ovest, ma anche da sud, così da intrappolare i difensori in un abbraccio mortale. Nondimeno, la decrittazione dei messaggi in codice avrebbe svolto un ruolo decisivo nel negare il fattore sorpresa.
LA BATTAGLIA DI VARSAVIA: FASE 1 (9-12 agosto)
La mattina del 9 agosto le formazioni russe, circa una ventina inquadrate nella 3ª, nella 4ª, nella 15ª e nella 16ª Armata, investirono l’intera prima linea, obbligando la 10ª divisione di Żeligowski a ripiegare sotto il fuoco tambureggiante dell’artiglieria. In serata tale destino sarebbe toccato ai reparti superstiti, allertati della minacciosa “tenaglia” che il nemico stava predisponendo.
Nei giorni successivi, il fulcro dei combattimenti si spostò quindi sul comune di Radzymyn (10-12 agosto), teatro di scontri feroci che lo videro passare sotto il controllo dell’uno e dell’altro contendente. Fu allora che i polacchi, resisi conto dell’impraticabilità nel mantenere le posizioni originarie, si attestarono a difesa del quartiere “Praga”, attendendo un provvidenziale arrivo dei rinforzi.
FASE 2: LA RITIRATA DEL FRONTE CENTRALE E LE AZIONI A SUD
Intanto il settore centrale stava subendo l’urto di molteplici unità che, nell’arco di 48 ore, inflissero gravi perdite agli uomini di Piłsudski.
Eppure il quadro tattico dello scacchiere sud-orientale sarebbe rimasto, nel complesso, stazionario, con la 7ª divisione di fanteria in pieno controllo di Chelmno e delle aree limitrofe.
Conviene inoltre puntualizzare che l’obiettivo dei soldati di stanza a L’vov fosse, in realtà, quello di impegnare il maggior numero possibile di truppe, agevolando così la controffensiva che sarebbe dovuta scattare da nord.
Malgrado l’urto terrificante della 1ª Armata a cavallo, i reggimenti ivi distaccati riuscirono a contenere i progressi degli attaccanti, difendendo metro per metro il perimetro assegnato.
LO SFONDAMENTO POLACCO AL CENTRO (15-16 agosto)
In seguito a questi scontri preliminari, l’esercito polacco-ucraino cominciò a ridispiegare le proprie forze in ottemperanza col piano dello Stato Maggiore: un azzardo malvisto da Weygand e dagli altri esperti della missione militare francese ma, in ultima istanza, foriero di grandiosi sviluppi.
Con una mossa del tutto inattesa, la 12ª brigata ingaggiò l’8ª divisione fucilieri di Sergej Gribov che, incalzata dalla 2ª legionaria, fu costretta a ripiegare. Anche al centro la situazione prese una piega favorevole agli assalitori, con l’annientamento dei reparti di Kolyada e la decimazione del gruppo “Mozyr“. Sull’estrema destra, la 58ª di Popov subì invece una carica prorompente della cavalleria che, dopo averle inferto perdite cospicue, riconquistò le città di Wlodawa e di Brzesc.
A quel punto non vi era che un’unica cosa da fare: convergere sulla capitale e colpire i bolscevichi da sud-sud-est, sbarrando loro la strada per un’eventuale ritirata su Bialystok.
LE CONTROFFENSIVE A NORD
Occupate le rispettive posizioni, i polacchi avrebbero dato battaglia ai soldati di August Kork. Fu in quel frangente che il 203° Reggimento ulani, spintosi in grande profondità nelle linee nemiche, si imbatté in uno dei centri nevralgici della 4ª Armata. Tale retroscena ebbe un’importanza cruciale per il prosieguo degli scontri, in quanto la distruzione delle radio non impedì solo un efficace coordinamento intra-divisionale, ma addirittura la comunicazione tempestiva degli ordini.
Il resto non fu che un rapido succedersi di eventi: disorganizzata e in balia degli avversari, la 33ª divisione di Oscar Stigga collassò improvvisamente; anche la 4ª e la 16ª Armata patirono la medesima sorte, costringendo la 15ª ad arretrare lungo il fronte; appurato il cedimento dell’ala destra, le unità a guardia di Varsavia poterono sferrare un poderoso contrattacco, distruggendo nel processo la formazione di Vitovt Putna.
Ma l’incubo terrificante nel quale si erano risvegliati i russi era ben lontano dal volgere a una conclusione: da sud arrivò infatti la notizia di uno sfondamento a opera di Piłsudski che, alla guida del Grupa Uderzeniowa, aveva messo in fuga i sopravvissuti, cancellando così ogni residua speranza di vittoria.
IL BILANCIO FINALE DELLA BATTAGLIA
Come si sarà intuito, il computo delle perdite risultò in netto favore dei polacchi: 5.000 morti e 26.000 feriti, assieme ad altri 10.000 dispersi e prigionieri di guerra[1].
Viceversa, per Mosca si trattò di una disfatta umiliante: circa 50.000 tra caduti e feriti, ai quali andavano sommati 65.000 combattenti finiti in mani ostili[2]. Vennero inoltre lasciate sul campo centinaia di artiglierie, migliaia di mitragliatrici e quantità notevoli di equipaggiamenti pesanti.
Conscio della portata del disastro, Tuchačevskij si convinse a emanare una direttiva per la ritirata generale (18 luglio), confidando nella possibilità di ricostruire una linea di difesa accorciando quella dei rifornimenti. Per sua sfortuna, la situazione strategica si era fatta talmente grave da non poter essere più raddrizzata: la 5ª armata di Sikorski aveva respinto il 3° Corpo di cavalleria fino alle soglie della Pomerania, mentre il resto delle truppe avanzava a marce forzate in direzione di Byalystok; solo la 15ª cercò di attenersi alle disposizioni, ripiegando verso est e continuando a schermare le forze superstiti.
A partire 21 agosto, qualunque forma di resistenza da parte dei sovietici sarebbe scemata. L’intero fronte nord-occidentale era andato infatti sgretolandosi, così come i contingenti sotto il comando di Budënnyj, battuti negli scontri di Komarow (31 agosto) e di Hrubieszow (metà ottobre). A poco valsero i tentativi di improvvisare un perimetro difensivo nell’area di Grodno, visto che i polacchi lo sfondarono al termine della battaglia del fiume Niemen (15-21 settembre).
Nella giornata del 12 ottobre, stremati e sotto la pressione diplomatica anglo-francese, entrambi i belligeranti si sarebbero accordati per un armistizio. Cinque mesi dopo, il 18 marzo 1921, venne stipulato a Riga un trattato che poneva la parola fine alle ostilità.
Ciò che avete letto è solo un estratto delle tematiche analizzate, in maniera più strutturata, nel secondo approfondimento della serie “La guerra sovietico-polacca 1919- 21”. Se non avete ancora soddisfatto la vostra sete di curiosità, questo è il momento giusto per godervi l’ottimo video realizzato dal canale YouTube Parabellum.
Buona visione!
Mirko Campochiari, Niccolò Meta
La Minerva
NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
[1] Simili cifre ammontavano a oltre 1/3 dell’esercito repubblicano.
[2] Di questi, ben 30-35.000 furono internati nella Prussia orientale, essendo fuggiti in territorio tedesco.
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Alessandro Gionfrida (Stato Maggiore dell’esercito SME ufficio storico), Missioni e addetti militari italiani in polonia (1919-1923)
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Arnold Suppan, The Imperialist Peace Order in Central Europe: Saint-Germain and Trianon, 1919–1920 (Inglese)
L’ha ripubblicato su La Minerva.
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