Muore, uccisa da una pugnalata inferta in pieno petto, l’imperatrice d’Austria Elisabetta Amalia Eugenia (1837-1898). La sua scomparsa rappresenta una delle più gravi tragedie che si abbattono sulla monarchia asburgica, già funestata dall’esecuzione di Ferdinando Massimiliano (1832-1867) e dal suicidio del principe Rodolfo (1858-1889).
Nata a Monaco di Baviera il 24 dicembre 1837, la giovane Sissi[1] trascorse un’infanzia serena grazie alle amorevoli cure della madre[2], crescendo ben lontana dagli obblighi di corte e dai formalismi imposti dall’etichetta. Malgrado ciò, l’episodio che ne avrebbe segnato l’esistenza si consumò nell’estate del 1853 quando, neppure sedicenne, acconsentì a sposare il cugino carnale Francesco Giuseppe (1830-1916).
Con la celebrazione delle nozze, avvenuta il 24 marzo seguente nella chiesa di Sant’Agostino, la fanciulla dovette integrarsi in un mondo radicalmente diverso da quello in cui era vissuta, invero contraddistinto da una certa spontaneità. Si trattò di uno sforzo titanico che, in ultima istanza, non avrebbe mancato di riflettersi sul suo stato di salute: i complessi cerimoniali previsti dalla Corona viennese, uniti alle incomprensioni[3] con l’arciduchessa Sofia (1805-1872) alimentarono, infatti, ricorrenti disturbi psicosomatici. L’insieme di questi fattori l’avrebbero resa peraltro una figura sgradita agli ambienti di palazzo[4], ostilità solo in parte stemperata dalla nascita dei figli Sofia (1855-1857), Gisella (1856-1932), Rodolfo e Maria Valeria (1868-1924).
Ad aggravare il quadro appena descritto contribuirono le velleità nazionalistiche dilaganti in molteplici aree del Paese: in risposta ai moti del 1848, gli austriaci avevano impresso una svolta ancor più conservatrice per mantenere lo status quo[5], rifiutandosi di concedere una nuova Costituzione dopo il breve esperimento del 1849. Nondimeno, simili scelte avrebbero relegato l’impero in una condizione di cronica debolezza, esasperata dal delinearsi di pericolose alleanze che minacciavano i fragili equilibri del continente.
L’eco delle sconfitte subite tra il 1859 e il 1866, culminate nella cessione del Lombardo-Veneto e nella perdita d’influenza sui territori tedeschi, si rivelò così vasta da erodere le fondamenta stesse della monarchia[6]. Una crisi gravida di ripercussioni, analoga a quella andava consumandosi in ambito matrimoniale dove il rapporto tra i coniugi, mai stato semplice a causa della forte incompatibilità caratteriale, venne messo a dura prova dai sospetti sull’infedeltà di Francesco Giuseppe. Tutto ciò avrebbe risvegliato in Sissi un profondo desiderio di rivalsa, al quale avrebbe dato sfogo violando il protocollo reale e sfuggendo all’opprimente vita di corte[7].
Il ventennio successivo venne quindi scandito da un sostanziale ritiro dalla scena pubblica. Un esilio volontario, intervallato dai terribili lutti che ne minarono la già precaria stabilità: nel 1886 si spense, in circostanze tuttora misteriose, l’amato cugino Ludovico II (1845-1886), mentre tre anni dopo fu la volta di Rodolfo. Troppo per una donna ormai prigioniera delle proprie ossessioni, impegnata in una lotta senza quartiere contro lo sfiorire della bellezza e un implacabile malessere interiore.
Il 10 settembre 1898, mentre si trovava a Ginevra in compagnia della contessa Irma Sztáray (1863-1940), la sua triste parabola volse bruscamente al termine: Luigi Lucheni (1873-1910), figura legata ai circoli anarchici di Losanna, l’avrebbe infatti accoltellata con una lima nascosta in un mazzo di fiori. Non si trattava soltanto di una stilettata inferta al cuore della casata asburgica, ma di un atto clamoroso con cui l’anarchismo lanciava la propria sfida al vecchio ordine. Interrogato sul perché dell’omicidio, l’assassino avrebbe risposto:
«Perché sono anarchico. Perché sono povero. Perché amo gli operai e voglio la morte dei ricchi».
Niccolò Meta
La Minerva
NOTE
[1] Benché sia comunemente ricordata con questo appellativo, il soprannome corretto dell’imperatrice dovrebbe essere “Sisi“. Altre fonti riportano invece la versione “Lisi“, diminutivo di Elisabetta.
[2] Elisabetta era membro dell’antica casata dei Wittelsbach, la quale poteva annoverare tra i suoi esponenti non meno di tre imperatori. Suo padre, Massimiliano Giuseppe (1808-1888), apparteneva a un ramo collaterale dei “duchi in Baviera”, mentre la madre Ludovica (1808-1892) era figlia del monarca Massimiliano I (1756-1825).
[3] Malgrado il carattere autoritario e il fortissimo ascendente esercitato sul figlio, è semplicistico ritenere che l’arciduchessa disprezzasse la nuora: molti comportamenti all’apparenza ostili, infatti, potrebbero essere stati motivati dal desiderio di “istruire” la giovane imperatrice, spingendola ad abbracciare le tradizioni secolari della dinastia asburgica.
[4] A pesare su quest’antipatia contribuì la natura eccentrica della giovane imperatrice, unita alla modesta educazione e alle difficoltà nel generare un erede maschio.
[5] Il risveglio del fermento nazionalista costituì una seria minaccia per l’impero austriaco, realtà multietnica dove la maggioranza tedesca deteneva gran parte del potere effettivo. A tal proposito, è interessante constatare quanto Elisabetta appoggiasse le rivendicazioni dei Magiari, al punto da proporsi come mediatrice tra i loro interessi e quelli della Corona.
[6] Tale stagione, culminata nel celebre compromesso (Ausgleich) che avrebbe sancito la nascita dell’Austria-Ungheria, espose l’intrinseca fragilità dell’assolutismo asburgico. Aspetto non meno grave, Vienna perse la propria influenza sui territori italiani e tedeschi, accusando al tempo stesso un preoccupante isolamento diplomatico.
[7] A causa dei frequenti disturbi psicosomatici, il Dottor Joseph Škoda (1805-1881) raccomandò all’imperatrice un periodo di riposo a Madeira (ottobre 1860). Da quel momento in poi, Elisabetta si sarebbe allontanata con frequenza sempre maggiore dalla corte di Vienna, visitando numerose località in Inghilterra, in Francia, in Turchia e nell’isola di Corfù. Proprio qui fece costruire, in seguito alla morte del figlio Rodolfo, l’incantevole palazzo dell’Achilleion.
L’ha ripubblicato su La Minerva.
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