20 luglio 1969, Luna

Per la prima volta nell’arco della sua storia, l’uomo riesce nell’incredibile impresa di conquistare un altro corpo celeste: la Luna. Mai fino ad allora il nostro unico satellite, da sempre Musa ispiratrice dei grandi poeti e pensatori del passato, era apparso tanto vicino da poter essere sfiorato con un dito.

I QUATTRO SCENARI DEL PROGRAMMA APOLLO

Il capitolo dell’allunaggio si inserisce all’interno della leggendaria “corsa allo spazio”, formula suggestiva utilizzata per designare l’ultima frontiera del confronto politico, ideologico e militare noto con il nome di Guerra Fredda. Nondimeno, l’analisi di un simile episodio impone di soffermarsi sui vari retroscena che ne hanno consentito l’effettivo raggiungimento.

Tra le principali sfide affrontate dal pool di ingegneri capitanato da Robert R. Gilruth (1913-2000), personaggio eclettico la cui carriera nella NACA[1] gli era valsa la promozione a direttore di volo nei programmi Mercury e Gemini, figurava la scelta del profilo di missione più idoneo a garantire la sopravvivenza dell’equipaggio. Per ovviare al problema, infatti, vennero abbozzate quattro modalità contraddistinte da un diverso livello di sofisticazione, ognuna delle quali passibile di condizionare l’intera filosofia costruttiva del lander[2] e del lanciatore: la prima, quella dell’ascesa diretta (Direct Ascent), scartava categoricamente l’idea di una traiettoria circumlunare in favore di un approccio meno articolato e rischioso; la seconda, conosciuta fra gli esperti del Manned Spacecraft Center con la sigla di EOR (Earth Orbit Rendezvous), prevedeva al contrario l’invio di molteplici vettori ospitanti la capsula spaziale e il combustibile. Una volta guadagnata l’orbita terrestre, essa sarebbe stata rifornita col propellente necessario al proseguimento del viaggio e, concluse le operazioni di sbarco, al rientro sul nostro pianeta; nel terzo caso, invece, l’attracco fra i moduli avrebbe avuto luogo in seguito alle procedure per l’atterraggio, lasciando quindi agli astronauti il compito di gestire l’insieme delle manovre logistiche; l’ultima, ribattezzata “LOR” dall’acronimo di Lunar Orbit Rendezvous, contemplava infine il ricorso a un veicolo composto da un Modulo di Comando e Servizio (CSM) e da uno Lunare (LEM)[3], ambedue contenuti in un singolo razzo la cui progettazione era stata affidata al Marshall Space Flight Center di Huntsville (Alabama)[4].

Ci volle più di un anno perché i tecnici valutassero i pericoli, le criticità e i costi connaturati in ciascuna delle ipotesi appena descritte. Nonostante gli innegabili benefici derivanti dalla selezione del primo scenario (si pensi alla possibilità di assemblare un’unica navicella che aggirasse l’ostacolo delle sequenze di avvicinamento e aggancio orbitali), la tecnologia dell’epoca era ancora troppo immatura per sostenere la creazione di un missile dotato della spinta necessaria.[5] Per questo motivo, nella giornata dell’11 luglio 1962, si optò per la quarta soluzione patrocinata dall’ingegnere aerospaziale John C. Houbolt (1919-2014): l’impiego di una capsula in grado di coprire le enormi distanze fra i due oggetti astronomici, il CSM, e di una per la discesa vera e propria, il LEM, avrebbe potuto assicurare un notevole risparmio in termini di peso, nonché delle ricadute vantaggiose sotto il prospetto finanziario.

IL SATURN V: UNA BREVE DISAMINA

Cruciale per la riuscita del programma Apollo fu inoltre la partecipazione di alcuni tra i maggiori gruppi industriali dell’epoca come, ad esempio, la North American Aviation e la Grumman, rispettivamente vincitrici degli appalti per i moduli di Comando e Lunare. Non meno trascurabile si rivelò il contributo offerto dai colossi della Douglas Aircraft Company, della Boeing e della IBM, incaricati di sviluppare il vettore missilistico Saturn V. Partorito dalle menti eccelse di Wernher von Braun (1912-1977) e del collega Arthur Rudolph (1906-1996), entrambi passati alla NASA dopo una breve collaborazione con l’Army Ballistic Missile Agency di Madison County,[6] l’intero progetto era stato realizzato in parallelo alla famiglia dei lanciatori orbitali Nova, rispetto alla quale si differenziava per la minore complessità.

Furono le buone prestazioni ottenute dalla piattaforma sperimentale C-1 (Saturn I), protagonista fra l’ottobre del ‘61 e il luglio del ‘65 di dieci voli coronati dal successo, a spingere la squadra dello scienziato tedesco verso la produzione di un modello molto più potente e all’avanguardia, il C-5. Lungo 111 metri e largo 10,1 metri per una massa di circa 3.000 tonnellate, quest’ultimo detiene ancora oggi numerosi record relativi all’altezza, al peso e all’impulso totale[7], testimonianza eloquente degli enormi progressi compiuti da Washington in quella decade.

Un ulteriore aspetto degno di nota era l’impostazione concettuale seguita dagli esperti del bureau, imperniata su tre stadi non riutilizzabili contenenti ciascuno un impianto propulsivo: il primo, costruito intorno ai quattro motori F-1 con ciclo a generatore di gas[8], sfruttava una miscela a base di kerosene e ossigeno liquido per una spinta pari a 35.100 kilonewton[9]; i restanti montavano invece degli endoreattori J-2 alimentati a idrogeno e ossigeno liquidi, a loro volta disposti seguendo un’architettura composta da un singolo elemento per il terzo livello, cinque per il secondo.

Malgrado le gravi difficoltà riscontrate nella messa a punto delle unità motrici, suscettibili di esplosioni catastrofiche per via degli errori commessi nel disegno delle camere di combustione, l’affinamento del Saturn V sarebbe continuato fino alla completa chiusura dei programmi Apollo e Skylab[10], nella prima metà degli anni ’70. Tra gli episodi più rilevanti legati alla carriera del lanciatore occorre senz’altro citare quello consumatosi il 9 novembre 1967, quando l’Apollo 4 partì dal Launch Operations Center di Merritt Island per condurre un’esercitazione senza occupanti. Questo traguardo, infatti, ha costituito un deciso passo in avanti nell’ottica di uno sbarco sulla Luna, risultato del lavoro meticoloso svolto dagli uomini della NASA e dalle industrie aderenti all’iniziativa.

LE PIETRE MILIARI DEL PROGRAMMA APOLLO, TRA SUCCESSI E FALLIMENTI

Mentre l’attività di sperimentazione sui vettori multistadio cominciava a dare i suoi frutti, il Manned Spacecraft Center dimostrava altrettanta solerzia pianificando i test per il controllo delle apparecchiature: il 26 febbraio 1966, un razzo Saturn IB (AS-201) concluse una breve crociera suborbitale trasportando con sé il prototipo del CSM; appena cinque mesi dopo, in data 5 luglio, venne lanciato un nuovo missile (AS-203) per valutare l’efficienza del motore J-2, lo stesso che avrebbe spinto i componenti del C-5; infine, il 22 gennaio 1968, l’Apollo 5 (AS-204) ultimò felicemente i collaudi del Modulo Lunare e del suo reattore a potenza variabile, certificandone dunque la piena operatività.

Nonostante l’ampia risonanza ottenuta da simili conquiste, il programma spaziale avrebbe vissuto momenti di estrema tensione funestati da lutti, fallimenti e ritardi considerevoli. L’evento più drammatico ebbe luogo il 27 gennaio 1967 quando Virgil Grissom (1926-1967), Edward White (1930-1967) e Roger Chaffee (1935-1967), i tre astronauti a bordo della capsula Apollo 1, persero la vita durante un’abituale simulazione di decollo.[11] Dalle indagini predisposte in ambito congressuale si scoprì che, all’origine della tragedia, vi era stato un cortocircuito occorso alla rete elettrica, un filo scoperto capace di innescare un incendio la cui propagazione era stata favorita dall’ossigeno puro presente in cabina. A fronte di tali rivelazioni, ogni progetto relativo all’impiego di equipaggi umani venne posticipato sino all’implementazione dei correttivi richiesti quali, ad esempio, l’utilizzo di una mistura meno infiammabile composta per il 40% da azoto.

La cartina di tornasole nell’epopea dell’allunaggio rimangono però le quattro missioni che lo precedettero[12], autentiche prove generali nell’attesa di centrare l’obiettivo fissato quasi dieci anni prima dall’amministrazione Kennedy. Piuttosto significativa si dimostrò la vicenda dell’Apollo 8, lanciata il 21 dicembre 1968 dallo spazioporto di Cape Canaveral, in Florida, con un incarico diverso rispetto a quanto stabilito in principio[13]: una volta lasciato il nostro pianeta, la navicella avrebbe dovuto farsi strada nel vuoto cosmico per raggiungere il campo gravitazionale della Luna, orbitarle attorno e rientrare alla base. Fu così che i nomi di Frank Borman (1928-vivente), James Lovell (1928-vivente) e William Anders (1933-vivente) balzarono agli onori della cronaca divenendo, in occasione del 24 dicembre, i primi esseri umani ad aver assistito al cosiddetto “Sorgere della Terra”[14].

Galvanizzata dai molteplici successi ottenuti tra la fine del ‘67 e l’inizio del ‘69, la NASA maturò la convinzione di essere ormai pronta per affrontare quella che appariva la sfida del secolo. A tal proposito, è bene sottolineare come l’équipe scelta per l’operazione fosse composta da personale con esperienze di volo pregresse: il comandante Neil Armstrong (1930-2012); il pilota del CSM Michael Collins (1930-vivente); il responsabile per il LEM Edwin Aldrin (1930-vivente). Non meno determinante fu la selezione dell’area più idonea dove condurre lo sbarco, visto che le sonde ricognitive inviate coi programmi Surveyor e Lunar Orbiter ne avevano individuate ben cinque. Dopo alcuni mesi trascorsi fra studi ininterrotti e calcoli millimetrici, la decisione degli esperti ricadde sulla località 2 situata nel Mare Tranquillitatis, un vasto bacino di natura basaltica caratterizzato dall’assenza di rilievi montuosi e da crateri poco profondi.

16 LUGLIO 1969: L’ALBA DI UN’ODISSEA

Secondo le stime riportate dagli storici Charles Benson e William Faherty nel libro “Moonport. A history of Apollo Launch Facilities and Operations“, furono almeno 700.000 gli spettatori che presenziarono al lancio dell’Apollo 11[15]. Un traguardo, questo, di vitale importanza per un Paese la cui immagine era stata offuscata dagli assassinii dei fratelli Kennedy e dalle vigorose proteste contro la guerra nel Vietnam (1964-1975), capace di riunire sotto la propria egida una nazione ancora divisa lungo la linea Mason-Dixon[16]. Si potrebbe addirittura sostenere che, a librarsi nel cielo assieme al vettore Saturn V, siano state le speranze di un popolo alle prese con una rivoluzione valoriale senza precedenti, animato da una fiducia incrollabile nel futuro e dal desiderio genuino di lasciarsi alle spalle un passato doloroso.

Una sola certezza, però, affiora da quel caldo pomeriggio estivo: mentre la folla accorsa per l’evento cominciava a liberare gli spalti improvvisati e le spiagge limitrofe, la navicella avrebbe continuato la sua ascesa verso gli strati più remoti dell’atmosfera terrestre, riuscendo a sfuggirle un’ora e mezza dopo il decollo.

HOUSTON, EAGLE E LA “BASE DELLA TRANQUILLITÀ

Con l’identificazione del sito per l’atterraggio, alle 17:44 UTC[17] di domenica 20 luglio, gli astronauti Aldrin e Armstrong[18] ricevettero finalmente il messaggio che tanto avevano atteso durante la loro permanenza nello spazio:

“Eagle, qui è Houston. Se ci ricevete, siete autorizzati alla discesa controllata. Passo e chiudo”.

Jones. E.M, The First Lunar Landing, Corrected Transcript and Commentary Copyright, 1995. https://www.hq.nasa.gov/alsj/a11/a11.landing.html

Fu così che ebbe inizio la lenta e inesorabile planata del LEM verso la superficie del corpo celeste, invero contraddistinta da momenti di estremo nervosismo come si evince dalle registrazioni divulgate dalla NASA: in seguito al distacco dal CSM Columbia, infatti, divenne chiaro che il Modulo Lunare aveva acquisito una velocità superiore rispetto al pattern preventivato dagli specialisti, forse in conseguenza di un’anomalia gravitazionale conosciuta con il termine di mascon[19]. Ancora più gravi, tuttavia, furono le segnalazioni riportate dal computer di bordo mentre il veicolo si trovava a 1.800 metri di quota, contrassegnate dagli allarmi numerici 1201 e 1202. Queste spie indicavano un utilizzo improprio della memoria analogica dovuto agli svariati processi in background, a loro volta passibili di incidere in maniera disastrosa sul funzionamento dell’elaboratore.

Fondamentali in tal senso si dimostrarono la freddezza e la lucidità palesate dal Guidance Officer Steve Bales (1942-vivente) che, memore di una simulazione d’emergenza effettuata qualche giorno prima, istruì il personale del lander sui protocolli necessari ad aggirare l’ostacolo. Avrebbe scritto a riguardo l’ingegnere informatico Margaret Hamilton (1936-vivente), direttrice di quella Software Engineering Division che aveva gestito lo sviluppo del programma:

Per via di un errore nella checklist riportata in un manuale, l’interruttore del radar di rendezvous era stato impostato in una posizione sbagliata. Ciò aveva causato l’invio di comandi fuorvianti. Il risultato fu che al computer venne richiesto di svolgere tutte le normali operazioni per l’atterraggio, ricevendo anche un carico supplementare di dati spuri da analizzare che, però, avevano consumato il 15% in più delle sue risorse. […] Avvisò quindi della situazione con un allarme che doveva essere interpretato come: “Sono sovraccaricato con più task di quelli che dovrei svolgere. Manterrò attivi solo quelli importanti”.

Hamilton M.H. Computer Got Loaded, lettera tratta dalla rivista “Datamation”, Cahners Publishing Company, 1971.

Nondimeno, l’origine del bug che aveva afflitto il sistema venne appurata soltanto nel 2005 quando Don Eyles (1944-vivente), all’epoca un giovane tecnico del Massachusetts Institute of Technology (MIT), riferì l’esistenza di un difetto di progettazione già emerso durante i collaudi dell’Apollo 5.
Un terzo motivo di preoccupazione fu la presenza, nell’area scelta per l’allunaggio, di un tappeto di rocce che avrebbe potuto danneggiare irreparabilmente la capsula. Dopo un paio di tentativi infruttuosi, Armstrong sfruttò al meglio delle proprie possibilità le ultime stille di carburante che gli erano rimaste individuando, al termine di una frenetica corsa contro il tempo, una piccola distesa pianeggiante a ovest del Cratere West. Alle ore 20:17:40 UTC, mentre il mondo intero stava seguendo col fiato sospeso le vicende dei due astronauti, una voce familiare infranse un silenzio durato appena qualche secondo:

Houston, qui Base della Tranquillità. L’Eagle è atterrato”.[20]

Jones. E.M, The First Lunar Landing, Corrected Transcript and Commentary Copyright, 1995. https://www.hq.nasa.gov/alsj/a11/a11.landing.html

UN PICCOLO PASSO PER UN UOMO, MA UN GIGANTESCO BALZO PER L’UMANITÀ

Bisognò attendere le 02:39:33 UTC perché il portellone dell’Apollo 11, unica frontiera ancora rimasta tra l’equipaggio e la desolazione della Luna, si spalancasse come risultato delle procedure di decompressione. Inoltre, in controtendenza rispetto alla prassi seguita per le altre missioni spaziali, l’onore di uscire per primo venne concesso al comandante di volo e non al pilota. Le ragioni dietro una simile peculiarità affonderebbero, stando al giudizio espresso da Aldrin, nella cattiva impressione che egli aveva destato durante le prove per lo sbarco, quando in un eccesso di foga aveva danneggiato la struttura interna del modulo.

Occorre poi sottolineare che le operazioni per il trasbordo, studiate nei minimi dettagli durante il briefing alla base, furono piuttosto difficoltose: il respiratore collegato alla tuta si rivelò fin da subito troppo ingombrante per consentire un movimento agevole attraverso la botola, obbligando gli occupanti a prestare un’attenzione quasi maniacale durante la discesa e la salita. In ogni caso, alle 02:56:15 UTC di lunedì 21 giugno, Neil Armstrong impresse il proprio nome nella storia calpestando la fredda, polverosa e spoglia superficie del satellite. Fu in quel preciso istante che, sotto lo sguardo di milioni di persone accorse davanti agli schermi televisivi per assistere all’evento, pronunciò una frase destinata a rimanere per sempre scolpita nell’immaginario collettivo:

«Questo è un piccolo passo per [un] uomo, ma un gigantesco balzo per l’umanità».

Jones. E.M, The First Lunar Landing, Corrected Transcript and Commentary Copyright, 1995. https://www.hq.nasa.gov/alsj/a11/a11.landing.html

Nei 134 minuti successivi, gli astronauti raccolsero 22 chilogrammi di frammenti per lo studio della morfologia lunare posizionando, assieme alla bandiera statunitense, l’apposita suite ALSEP (Apollo Lunar Surface Experiments Package) per le misurazioni scientifiche. Poi, dopo un sonno durato a malapena 7 ore, diedero inizio alle sequenze per il rendezvous orbitale grazie alla spinta fornita dal secondo stadio dell’Eagle[21].

L’atto conclusivo di una tale epopea si consumò alle 16:49 UTC di giovedì 24 luglio, quando il Columbia ammarò in una zona distante 2660 chilometri dall’isola di Wake, nel Pacifico settentrionale. Immediate furono le manovre per il suo recupero dirette dalla portaerei USS Hornet, situata ad appena 15 miglia dal luogo del rientro, seguite dai controlli indispensabili a verificare la salute dell’intero equipaggio: conviene infatti ricordare quanto, ancora verso la fine di quella decade, non si conoscessero appieno gli effetti delle contaminazioni extraterrestri sugli esseri viventi, obbligando la NASA a stabilire dei periodi di quarantena lunghi circa tre settimane.

Nella giornata del 13 agosto 1969, Armstrong, Aldrin e Collins sarebbero stati accolti trionfalmente con cene di Stato, parate e bagni di folla che proseguirono fino alla metà di settembre, preludio di un tour lungo 38 giorni da svolgersi in 22 Paesi differenti. Terminava così la straordinaria avventura dell’Apollo 11: otto anni dopo il discorso programmatico del 25 maggio 1961, a dispetto delle défaillances occasionali, degli sforzi titanici e dei costi esorbitanti necessari all’impresa, Kennedy aveva tenuto fede alla parola data vincendo la sua grande scommessa.

Niccolò Meta

La Minerva

Classificazione: 5 su 5.

NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

[1] Il Comitato Consultivo Nazionale per l’Aeronautica (NACA) è stato un’agenzia federale che ha preceduto l’odierna NASA.

[2] Un lander è un tipo di navicella spaziale progettata per discendere e atterrare sulla superficie di un corpo celeste.

[3] I soprannomi scelti per i due moduli furono, rispettivamente, Columbia e Eagle.

[4] NASA Langley Research Center Office of Public Affairs, with the assistance of Dr. James R. Hansen, Lunar Orbit Rendezvous and the Apollo Program, December 1992, https://www.nasa.gov/…/lang…/news/factsheets/Rendezvous.html.

[5] Il vettore più idoneo a garantire il raggiungimento di un simile obiettivo era il missile Nova, il quale, seppur dotato di caratteristiche promettenti, venne accantonato in favore del Saturn V. Alla base di questa decisione figurava uno sviluppo troppo prolungato per rispettare le tempistiche indicate dall’amministrazione Kennedy.

[6] Fondata il 1 gennaio 1953 su iniziativa dell’esercito statunitense, l’Army Ballistic Missile Agency (ABMA) è stata un’agenzia governativa il cui compito era quello di effettuare studi per lo sviluppo di ordigni balistici. È stata assorbita nel dicembre del 1961 dallo US Army Missile Command (MICOM).

[7] Con il termine impulso si è soliti indicare, all’interno di un preciso intervallo di tempo, il cambiamento della quantità di moto di un determinato corpo.

[8] Il ciclo a generatore di gas è un ciclo termodinamico aperto utilizzato nei motori a razzo a bipropellente liquido. Una parte dello stesso è bruciata in una camera di combustione separata da quella principale, così da alimentare la turbina delle turbopompe. I gas di scarico sono poi espulsi da un ugello secondario.

[9] May. S., What was the Saturn V, September 10 2010, https://www.nasa.gov/…/nasa-k…/what-was-the-saturn-v-58.html

[10] Il programma Skylab venne realizzato a partire dalla seconda metà degli anni ‘60 assieme al progetto Apollo. L’obiettivo ultimo era la costruzione di una stazione orbitale che consentisse il proseguimento delle esplorazioni spaziali.

[11] NASA Content Administrator, Apollo 1 tragedy, June 14 2012, https://www.nasa.gov/mission_p…/apollo/missions/apollo1.html

[12] Si sta parlando delle missioni Apollo 7, 8, 9 e 10, susseguitesi in un periodo compreso fra l’ottobre del ’68 e il maggio del ’69.

[13] La consegna originaria dell’Apollo 8 consisteva nel testing dei moduli CSM e LEM all’interno dell’orbita terrestre. Tuttavia, le pressioni dell’opinione pubblica e i timori destati dal programma spaziale sovietico spinsero la NASA a rivedere la propria tabella di marcia.

[14] L’espressione “Sorgere della Terra” si riferisce alla foto scattata il 24 dicembre 1968 dalla missione Apollo 8. Essa offre la prospettiva di un’“alba” del nostro pianeta dalla Luna.

[15] Benson C.D., Faherty W.B., Moonport. A history of Apollo Launch Facilities and Operations, National Aeronautics and Space Administration Scientific and Technical Information Office, Washington, DC, 1978, p.474.

[16] La linea Mason-Dixon è una linea di demarcazione tra quattro Stati degli USA, che forma parte dei confini della Pennsylvania, del Maryland, del Delaware e della Virginia Occidentale. Canonicamente, viene considerata la linea di demarcazione fra il Nord industrializzato e il Sud rurale.

[17] La sigla UTC, letteralmente “Coordinated Universal Time”, indica quel fuso orario di riferimento a partire dal quale sono calcolati tutti gli altri fusi orari del mondo.

[18] Collins rimase a bordo del Modulo di comando e servizio come preventivato a inizio missione.

[19] Il termine mascon viene in genere utilizzato per descrivere la distribuzione di un eccesso di massa sopra o sotto la superficie di un pianeta.

[20] Base della Tranquillità è il nome in codice attribuito al Mare Tranquillitatis.

[21] Il LEM si componeva di due stadi: il primo, quello per la discesa, sarebbe stato lasciato sulla superficie lunare una volta esaurito il propellente; il secondo, invece, avrebbe dovuto essere sganciato al termine della fase ascendente.

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