La Royal Navy e le guerre napoleoniche: Parte I

La battaglia di Trafalgar (21 ottobre 1805) non solo eliminò la Francia e la Spagna come potenze marittime durante le guerre napoleoniche, ma le retrocesse a flotte secondarie. Un ruolo dal quale non si sono più riprese sino a dopo la seconda guerra mondiale.

D’altro canto sancì la superiorità assoluta della Royal Navy che, da allora in avanti, mantenne fermo il controllo sui mari e sugli oceani sino alla conclusione del secondo conflitto mondiale, l’acme che ha visto la fine dell’impero britannico e il declino della marina di Sua Maestà.

Nelson aveva pagato con la vita l’esaltazione di un modo di combattere, manovrare e comandare nella marina a vela che molti hanno tentato di imitare, senza mai riuscirci. Ma egli non è stato altro che la summa delle azioni sfrontate, comandate per mare dei vari Pellew, Cornwallis, Blackwood, Parker, Rodney, Duckworth, Jervis. Ammiragli che, all’ombra della propria insegna, hanno portato la marineria inglese a rasentare la perfezione per il periodo che stiamo analizzando. Gesta che richiamano al nostro pensiero una sola parola: tradizione. E intorno a questa parola analizzeremo gli atti, le miserie, i sacrifici e le gioie di migliaia di poveri disgraziati che, arruolati con l’inganno o per forza, hanno costruito una potenza fuori del comune. La stessa morte di Nelson fu causata da questa dedizione: per tradizione, infatti, un ammiraglio e un comandante dovevano andare in battaglia in uniforme completa con cappello, medaglie e quant’altro, rendendoli così identificabilissimi come maschi di pavone.

Video proviene dalla collana “Le grandi battaglie della storia”, distribuzione Folio. Studio del bianco

Da quando Drake giocava a bocce mentre la Invencible Armada si avvicinava minacciosa, la forza delle flotte inglesi è stata la sola forma di difesa che mantenesse la totale integrità dell’isola. La Royal Navy era reputata come vitale per la sopravvivenza stessa dell’impero e per la predominanza dell’Inghilterra, mentre l’esercito giocava un ruolo fondamentale nel presidiare le colonie con guarnigioni, nel prendere importanti aree strategiche e nel partecipare ad azioni per pacificarne i confini.

Come forza navale permanente, essa era nata intorno alla metà del XVII secolo quando il Lord Protettore, Oliviero Cromwell, impose che la flotta reale fosse posta sotto il controllo del Parlamento inglese data la notoria fedeltà della marineria al Re. Questa riforma della Marina venne portata a termine dal General-at-Sea (equivalente al grado di ammiraglio) Robert Blake, suo fedelissimo seguace che l’aveva guidata durante la vittoriosa Prima guerra anglo-olandese (1652 – 1654).

La ristrutturazione della Royal Navy creò una situazione di contrasto con le forze militari di terra, dove Cromwell aveva instaurato il concetto di elettività degli ufficiali indipendentemente dalla loro estrazione sociale. Situazione che, per ovvie ragioni, non poteva esser applicata alla Marina. Alla stregua di Cromwell, Blake fu talmente inviso per i suoi atti che, al momento della restaurazione monarchica, anche la sua salma fu fatta oggetto dell’esecuzione postuma (hanged, drawn and quartered)[1].

Indipendentemente da ogni forma di restaurazione o rivoluzione avesse a diffondersi per le terre inglesi, la Royal Navy rimase sempre e comunque “at His/Her Majesty’s Service e, come tale, navigò su tutti i mari dove l’Union Jack dovesse esser sventolato (“mostrar bandiera”) e la politica di Sua Maestà richiedesse di ricordare chi comandava in mare.

Non era una questione di numeri, perché spesso le flotte britanniche attaccarono battaglia in inferiorità numerica, ma di “manico”, di sfrontatezza, di ordini ricevuti di attaccare, attaccare e ancora attaccare, senza curarsi dei danni subiti.

Le navi inglesi non erano superiori tecnologicamente a quelle spagnole o a quelle di altri Stati (si diceva che i francesi progettassero vascelli migliori, pur non sapendoli “armare a nave”) eccetto che per un particolare: era l’affusto navale dei cannoni con cui armavano i propri bastimenti che permetteva bordate veloci, ben mirate e quindi più distruttive. Artiglierie appositamente studiate per l’uso a bordo delle navi di Sua Maestà al contrario, per esempio, di molti cannoni spagnoli, creati per esser utilizzati sulla terraferma. In questo caso, le operazioni di ricarica dovevano essere eseguite uscendo dall’opera morta ed esponendo, nel corso di uno scambio di bordate, i serventi al fuoco nemico.[2]

Inoltre, nel periodo storico in questione, il pezzo lungo da nove libbre (spesso l’artiglieria inglese si indica il peso del proiettile anziché il calibro del cannone) era il miglior fra tutti per precisione e velocità di fuoco.[3] L’anima era perfetta per un proietto ottenuto con una fusione più accurata che per calibri maggiori non era possibile. Sparata a una velocità di 300 metri al secondo, la granata colpiva duro e garantiva colpi a segno anche a grande distanza.[4]

Per i francesi la guerra marittima era un elemento minore rispetto alla guerra terrestre, dove “la Marina non è più che una branca dell’esercito, intervenendo su casi specifici e doveva dunque essergli subordinata”. Per i britannici, invece, “il vero scopo” era “la vittoria su quella nemica e il controllo dei mari, dove le flotte avversarie sono i veri bersagli”. Così le operazioni navali britanniche crearono, nel corso della storia, un’evoluzione continua della strategia marittima[5].

La Royal Navy assurse così a potenza marinara vera e propria, superiore anche agli olandesi e ai portoghesi che, per mare, ci sapevano andare più che bene e lo facevano con estremo successo. Navigare fu un’arte dai prodromi della storia inglese, fin da quando gli abitanti dell’isola dovevano decidersi se adorare Cristo oppure Odino ed essere Sassoni, Normanni o Anglosassoni. Non era la capacità e l’esperienza a renderla superiore, ma il non dover dipendere dalla limitazione di confini che non fossero esclusivamente marittimi. Ciò consentiva quindi di confezionare strategie e tattiche del tutto nuove, mai percorse prima.

Maestria e abilità erano certamente esaltate da quello spirito corsaro che i vari Drake e Hawkins erano riusciti a infondere in uno strumento navale che, da allora sino alla fine della seconda guerra mondiale, ha dominato incontrastato i mari del mondo. In un pianeta che per due terzi è composto da acqua, non è poco.[6]

“AH! L’AUDACE! TOUJOURS l’AUDACE!”

La Royal Navy ha controllato i mari garantendo rotte libere da e per le isole britanniche, ricorrendo all’arroganza, alla sfrontatezza, alle capacità marinare e al coraggio in maniera tale che, lentamente ma inesorabilmente, la stessa “Navy” ha finito per essere parte integrante della leggenda e della tradizione.

Toccò il suo massimo storico durante le guerre napoleoniche, la prima vera crisi continentale, militare, sociale e politica che l’Europa moderna dovette affrontare: da un lato il nuovo portato dalla Rivoluzione francese e ispirato da quella americana, foriero di cambiamenti radicali allo status quo e creatore di nuove tendenze socio-politiche basate sui valori che l’Illuminismo aveva aiutato a plasmare. Princìpi che si erano fatti largo camminando, con successo, fra teste coronate tagliate e sangue, fattori affatto nuovi nel Vecchio Continente; dall’altro la Restaurazione che, pur avendo fatto il suo tempo, andava sostenuta perché imponeva il mantenimento di uno “status quo”, di quella “pax britannica” equilibrante e ottenuta duramente con la Guerra dei Sette Anni. L’Inghilterra aveva già pagato duramente un’evoluzione rivoluzionaria, di cui conservava un tristo ricordo con le “Teste Piatte” di Cromwell.

Gli inglesi sono da sempre tradizionalisti, ma in senso positivo. Sono pragmatici e cinici, specialmente sul mare la cui importanza Napoleone, uomo di terra, sottovalutava. Ecco perché, quando questa importanza fu usata per bloccare qualsiasi movimentazione navale da e per i porti europei controllati da Parigi, l’azione funzionò arrivando a strozzare non solo i commerci francesi (che erano essenziali anche per un terricolo come Napoleone), ma anche le normali comunicazioni nazionali.

Quello che un bastimento da carico da 3.000 tonnellate con munizioni, vestiario, armi, viveri e quant’altro poteva portare da Tolone a Cadice in dieci giorni, per via di terra necessitava di centinaia di coppie di buoi e muli, dozzine di carri, decine di guidatori su strade fangose. Oltretutto poteva richiedere come minimo due mesi per il trasporto, senza considerare briganti e rapinatori.

Eh sì, signori miei: oggi noi con autostrade, autoarticolati, ferrovie e aerei non ci rendiamo conto che, nell’anno di grazia 1799, le strade non erano asfaltate, né erano ben tenute come lo erano state nell’impero romano. Nella maggior parte dei casi erano, specialmente in Spagna e in Europa Orientale, tratturi che si allagavano alle prime piogge e di scarsa manutenzione.

Lo stesso avveniva per il movimento delle merci da Le Havre a Calais, o da Brest a Ostenda. E l’Impero aveva un bisogno assoluto dello scambio e della vitalità dei commerci, specialmente con l’espansione in Europa che Napoleone gli aveva regalato.

Non avendo “piede marino”, il supremo comando francese tendeva a trascurare l’arma navale, pur avendo sotto il suo comando fior di ufficiali e navi splendidamente costruite che, quando cadevano nelle mani dei britannici, dimostravano le loro eccellenti quantità; questo spiega la presenza, nella Royal Navy, di vascelli con nomi francesi come il “Foudroyant”, noto per esser stata la nave ammiraglia di Nelson nella trista vicenda dell’ammiraglio Caracciolo; “l’Aquilon”, catturato alla battaglia del Nilo del 1798; la “Duquesne”, catturata durante il blocco navale di Santo Domingo del 1803. Imbarcazioni che, quando batterono bandiera inglese, fecero il loro dovere come e più di quelle costruite nei cantieri inglesi.

Le navi con cui la Royal Navy controllava i mari erano divise in ranghi a seconda dell’armamento che avevano a bordo[7]: primo rango 100 cannoni, secondo 90, terzo 70 e così via per finire con le fregate, i muli al lavoro per la flotta, e gli sloop-of-war. Quelli di primo rango erano di dimensioni maggiori, parliamo di oltre 2.000 tonnellate di dislocamento, 100 cannoni su tre ponti oltre 850 membri di equipaggio. 850 anime ammucchiate su una nave di legno, corde e vele (il rame ricopriva lo scafo immerso), con tutto quel che serviva per mandare a spasso tra i mari un vascello magari grande come il famoso HMS Victory.

La vita in mare, anche in tempi lontani, poteva sembrare un modo affascinante per sbarcare il lunario e coprirsi di gloria sulle navi di Sua Maestà. Se questo era vero con una certa frequenza per ufficiali e sottufficiali (e più avanti vedremo il motivo pratico al riguardo), la musica era molto diversa per i ranghi più bassi, ossia per chi viveva “sotto, nella chiglia”, negli affollati ponti fra sartiame e cannoni. Quei marinai semplici che, all’epoca dell’ammiraglio Nelson e delle grandi gesta della Royal Navy, servivano a migliaia sui velieri britannici conducendo una vita quotidiana fatta di ombre più che di luci.

In primis, i marinai  a bordo erano costretti a vivere in una situazione di promiscuità che definire precaria era sminuirne la miseria: sia che vi fosse un equipaggio di 800 persone su un vascello di primo rango, sia che ve ne fosse uno con 150 su uno sloop armato a nave, le condizioni erano le stesse. Piuttosto emblematico è il quadro tratteggiato nell’articolo “Royal Navy fra rhum e frustate”, edito dal sito “Vela e motore”:

[…]spazi sovraffollati senza il rispetto di  quelle  che  per  noi,  oggi, sono  le  più elementari norme igieniche. Il loro lavoro si svolgeva in condizioni durissime e, molte volte, richiedeva il sacrificio della vita tanto durante le battaglie, quanto durante le ordinarie manovre della vita di bordo. Tra l’altro, gli ufficiali e ì sottufficiali sotto cui servivano avevano sovente per loro una scarsissima considerazione: li ritenevano canaglie scansafatiche, pronti solo a ubriacarsi, attaccare briga e disertare. Eppure è stata proprio questa presunta marmaglia ad assicurare alla marina britannica la vittoria su Bonaparte, conquistando “alla Perfida Albione” così il predominio sul mare”

Royal Navy tra rhum e frustrate, Vela e Motore, 19 ottobre 2007.

L’ARRUOLAMENTO FORZATO – IL KING’S SHILLING E LE PRESS-GANGS

Per armare le decine di bastimenti da guerra che la Royal Navy necessitava per mantenere aperte le rotte commerciali e, al tempo stesso, rintuzzare nei porti europei i francesi assieme ai loro alleati, servivano migliaia di uomini disposti a lavorare duro, mangiare male, dormire ammassati e rischiare la vita ogni momento sotto il fuoco delle bordate nemiche o, magari, a quindici metri dalla coperta sui bracci dondolanti di una nave che rollava sul mare in burrasca.

Le vecchie barbe dell’Ammiragliato facevano leva sui disagiati, sui mezzadri sfrattati e ridotti a lavorare come braccianti giornalieri, nonché su coloro che erano senza un mestiere e che vedevano nell’arruolamento l’unica alternativa per non morir di fame. Solo i più ingenui si
 lasciavano vincere dal fascino dell’avventura o, semplicemente, erano troppo ubriachi per discernere il pericolo.

Dalla necessità di avere braccia da mandare a riva nacque l’arte di reclutare personale Mettendo a segno una dote truffaldina che, sfruttando ignoranza e ingenuità, usava la miglior esca che un inglese degno del suo nome potesse richiedere: l’alcool.

I famosi pub, le tradizionali fiaschetterie dove gli sventurati e i reietti affogavano le loro disgrazie nella birra, nel whisky e nel sidro, divennero il luogo perfetto dove agganciare gli sprovveduti.

Uno dei trucchi più ”civili” attuati dai “recruiters” per abbindolare il malcapitato di turno era presentarsi in una taverna nello splendore della divisa da parata, con le medaglie a tintinnare sul petto (perché i reclutatori erano sempre vecchi sottufficiali esperti, in pensione o pronti a mettervisi), offrire da bere a tutti e agganciare la vittima prescelta facendo scivolare, nella terza o quarta pinta di birra, il cosiddetto “King’s Shilling (lo scellino che rappresentava realmente la diaria del soldato).

Il malcapitato, spesso e volentieri già alticcio per i beveraggi offerti dal reclutatore, trovava in fondo al boccale uno scellino: il solo prenderlo in mano dopo averlo tolto di bocca significava accettare di essere ingaggiato. Il reclutatore lo portava via con la forza e, insieme ad altre inconsapevoli vittime, lo trascinava di fronte a un giudice di pace dinnanzi al quale giurava che quei disperati avevano accettato di essere arruolati. Il giudice, spesso prezzolato “collaboratore” dei reclutatori, li esaminava, li trovava in buona salute e dichiarava legale il reclutamento, a meno che  qualcuno non avesse una sterlina per adire ad un immediato congedo. Uno scellino, composto da 12 pennies, era la ventesima parte di una Sterlina[8], ed era una cifra spesso inarrivabile ai più. Truffa legalizzata ed altra carne da portare a Portsmouth per essere smistata sulle navi di Sua Maestà. Lo stesso scellino rappresentava la paga giornaliera di un mozzo, dove un Tenente di Vascello imbarcato guadagnava otto sterline al mese (quattro se a terra). Una pinta di birra costava un “throupence” (tre pennies).

Oltre agli ubriachi e agli ingenui, i ”volontari” di turno erano i poveri privi di sostentamento, stufi di un lavoro saltuario e occasionale con cui a mala pena si sfamavano. Andavano bene tutti gli uomini dai 18 ai 45 anni e, per quanto riguardava la marina inglese, bastava poi essere un semplice abitante della costa per essere “qualified”, cioè abile e arruolato senza bisogno di addestramento con possibilità di essere in breve tempo  un petty-officer  (sottufficiale). Ma una volta diffusasi la voce della durezza del servizio, i reclutatori trovavano sempre meno gente disponibile nelle zone costiere, mentre quelle interne erano battute dai reclutatori dell’Esercito. Quindi era ben difficile che anche i disperati si imbarcassero sulle navi militari di loro volontà.

È un fatto storicamente documentato che l’equipaggio venisse in buona parte reclutato in modo forzato, sia in mare sia in porto. I comandati al reclutamento scendevano a terra con alcune scialuppe complete di equipaggio armato per catturare e arruolare il numero sufficiente di uomini al completamento degli effettivi.

Di fronte alla forte concorrenza dell’Esercito, la Royal Navy accentrò la propria necessità sulle squadre di reclutamento forzato (pressgang) e sui detenuti. E quando reclutare forzatamente divenne sempre più difficile perché la guerra non aveva solo allargato la richiesta di lavoratori nelle campagne, nelle miniere e nelle industrie, ma anche incrementato la richiesta di marinai per la marina mercantile, dove si stava meglio, ci si rivolse allo “slammer” (le patrie galere).

La giustizia inglese è sempre stata veloce e severa soprattutto nei confronti dei nullatenenti ma, “stranamente”, fra il 1780 e il 1820 i reati che comportavano la pena dì morte nel Codice Civile passarono da 50 a 250 (commutati in periodi di detenzione pluridecennali). Erano i reati contro la proprietà ad essere considerati i più gravi: per aver sottratto una rosa da un giardino, un povero disgraziato rischiava l’impiccagione e attenuanti come la giovane età e lo stato di bisogno erano considerate barzellette sporche. In questi luoghi mefitici, la Corona Inglese trovò il suo serbatoio di marinai prima e di servi e detenuti poi da far lavorare in Australia.

I condannati potevano scegliere tra la detenzione e l’arruolamento. La decisione era semplice. Il detenuto in uniforme da soldato o marinaio era comunque un poveraccio in mano ad ufficiali che, indifferenti nel loro disprezzo, esercitavano su di loro un potere di vita e morte. Ma poteva contare su cibo, vestiario e sul “sangue di Nelson”, il Grog.

Alla scelta fra morte e vita in Marina, coloro che sceglievano quest’ultima venivano detenuti in apposite navi-caserme a far compagnia ai “figli” del “King’s Shilling” e dell’Impressment, cioè il sistema delle press-gang. Insieme ad essi, gli ingenui che si arruolavano volontari e, non avendo un diacono o presbitero che li raccomandasse per farli ingaggiare come allievi o guardiamarina, venivano iscritti nei ruolini equipaggi.

Qui di seguito riporto quanto integralmente raccontato nel libello del 1836 di William Robinson, il quale scrisse della sua personale esperienza al riguardo:

“Quando un giovane si affidava a una nave-caserma della Royal Navy per trovarvi rifugio e ospitalità, la sua libertà si limitava a quella di pensiero, a patto di stare bene attento a confinarli ‘ in una delle stive della sua mente senza mai manifestarli a voce alta, facendoli sfuggire dal boccaporto ‘. Di solito chi saliva su una di queste navi si pentiva del passo compiuto nel giro di pochissime ore. Dopo essere stati sommariamente visitati dal dottore di bordo ed essere stati dichiarati idonei alla navigazione, i marinai venivano rinchiusi coi compagni di sventura e una nutrita frotta di topi[9]. I coscritti trascorrevano giornate e notti ammassati gli uni sugli altri, poiché non c’era abbastanza spazio per sedersi o stare in piedi. Come prevedibile, nel giro di pochissimi giorni gli uomini si ritrovavano in condizioni pietose, coperti di sporcizia e infestati dai parassiti. A un certo punto, la nave-caserma raggiungeva i bastimenti a cui ciascuna delle reclute era destinata. […] Lì ciascuno di noi riceveva vestiti e coperte, il prezzo dei quali sarebbe stato detratto dalla paga da parte del commissario di bordo. Naturalmente questi effetti personali venivano rubati in modo sistematico nel giro di pochissime ore: alcuni di noi persero le scarpe in pieno giorno, ad altri fu rubata la coperta, mentre nottetempo dormivamo sul ponte. Questi oggetti sparivano, anzi, si volatilizzavano come per magia. Scoprii in seguito che i nostri averi ci erano stati sottratti con ami da pesca e filo armeggiati con grande destrezza e profittando del buio che avvolgeva i ponti della nave, rendendo impossibile smascherare i ladri».

Integralmente riportato dal libello del 1836 di William Wells Robinson

I comandanti di nave armata da guerra avevano l’autorità di imporre il reclutamento alle navi mercantili che battevano bandiera inglese (spesso anche a quelle neutrali), ma solo fuori dai porti inglesi, per cui le grandi compagnie mercantili come la “John Company” preferivano pagare una taglia per esser lasciati passare. La vita del l’ex- galeotto e del reclutato a forza, una volta imbarcato, non è che migliorasse. Era un po’ come cadere dalla padella alla brace.

Fustigazioni, lavoro duro e pericoloso, pessimo cibo. Come magre consolazioni, una vita all’aria aperta, il Grog quotidiano e il sogno dei premi delle prede. Già. Le prede, il sogno, la speranza, la scintilla dell’avidità, condita con il coraggio degli equipaggi e bagnata dal Grog. Nelson’s Blood – Il sangue di Nelson.

<<SEGUE>>

Aldo Ciappa

La Minerva

Classificazione: 5 su 5.

NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

[1] Rituale di esecuzione compiuto sul corpo di una persona già morta.

[2] Il tutto avveniva senza la protezione delle paratie che, per certi ponti, potevano avere anche 30 centimetri di spessore in duro legno di quercia.

[3] Molte bocche da fuoco, dopo 4 o 5 colpi, dovevano esser lasciate a raffreddare per non correre il rischio di un’auto accensione delle cariche da sparo inserite in culatta. Cosa che con il pezzo da nove succedeva solo dopo più colpi, a riprova di un’arte di fusione sopraffina ed ecco perché vicino ad ogni cannone era presente un bugliolo per raffreddare sia gli scovoli sia la canna e dei giovani mozzi erano incaricati di mantenerli pieni soprattutto in battaglia

[4] Cfr. l’armamento navale nelle guerre napoleoniche, di Davide Villa

[5] Francesco Frasca, La geometria della guerra: evoluzioni tattiche marittime e terrestri nei secoli XVII-XVIII

[6] Anche dopo visto che, all’epoca della Guerra delle Falkland (1982), l’HMS Conqueror si presentò con grande sfrontatezza in banchina con il Jolly Roger (La bandiera con teschio e tibie) innalzato come avevano fatto i sommergibili inglesi nella prima e nella seconda guerra mondiale al ritorno da una crociera proficua di affondamenti

[7] Cfr. The Command of the  Ocean , N.A.M. Rodgers & The Napoleonic Wars, a History of the Royal Navy – M. Robson],

[8] Composizione della Sterlina abbandonata verso la fine del XX Secolo con l’ingresso della Gran Bretagna nell’UE.

[9] Animali che, in quelle stanze e a bordo delle navi di Sua Maestà, potevano diventare un pasto appetibile… .

  • Nicholas James Kaizer, Professionalism and the Fighting Spirit of the Royal Navy (Rules, Regulations and Traditions that made the Royal Navy an Effective Fighting Force during the French Revolution and the Napoleonic Wars, 1793-1815, Acadia University, April 2015
  • Michael Lewis, A Social History of the Navy 1793-1815
  • N.A.M. Rodger The Command of the Ocean, A Naval History of Britain 1649-1815
  • Dancy, J. Ross. The Myth of the Press Gang: Volunteers, Impressment and the Naval Manpower
  • Miller, Nathan. Sea of Glory
  • www.velaemotore.it la Royal Navy fra Rhum e frustrate
  • Daniel K. Benjamin, The British Naval Prize System 1793-1815, version 6:1 09/2009
  • Richard Hill, The Prizes of War: Prize Law and the Royal Navy in the Napoleonic Wars, 1793-1815
  • Philip Gosse, Storia della pirateria
  • Martin Robson, The Royal Navy – The Napoleonic Wars – Impressment , Royal Navy Museum
  • Herman, To Rule the waves, – Royal Navy College Ships of the Royal Navy
  • Giuliano Da Frè –Storia delle Battaglie sul Mare
  • O’ Brian – Forester – Pope, loro opere marinare
  • Davide Villa, L’armamento navale nelle guerre napoleoniche
  • Francesco Frasca, Foreste, logistica e Potere Marittimo
  • Francesco Frasca, La geometria della guerra: evoluzioni tattiche marittime e terrestri nei secoli XVII-XVIII
  • James Pack, Nelson’s Blood: The Story of Naval Rum Naval Institute Press, 1982

Le fonti mi hanno consentito di verificare i fatti raccontati e scoprirne di nuovi. Sono composte da libri che ho impiegato anche settimane a trovare e a farmi spedire. Giudizi e analisi sono farina del mio sacco. Illustrazioni e foto provengono da Wikimedia Commons e dal Web. Al Prof. Emiliano Beri, docente di storia militare presso Università degli Studi di Genova, va un grazie particolare per i pazienti suggerimenti sulle fonti.

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