Nel 1942 c’erano oltre 35.000 ebrei nel sud della Francia, in maggioranza Sefarditi[1] che, più che vivere, sopravvivevano nascondendosi a Marsiglia. Ciò la fece divenire, assieme a Lione, la città meridionale del Paese che ospitava il maggior numero dei figli di Mosè. Non avevano l’obbligo di portare la Stella di David: erano e si sentivano cittadini francesi. Malgrado le imposizioni del governo di Vichy, avevano continuato a lavorare nonostante la vicinanza del maggior campo di concentramento della Francia di Pétain, Les Milles, che funzionava da centro di smistamento per i lager nel Nord-Est del Reich. Era una situazione che Donald Lowrie[2] avrebbe paragonato a un “pollaio aperto su cui un falco volteggiava sempre più vicino”.
Aveva perfettamente inquadrato la situazione. Da quando i tedeschi erano arrivati a Marsiglia (1941), l’atteggiamento della città e le diverse forme di Resistenza all’occupazione ne avevano fatto una vera e propria spina nel fianco per i nazisti.
Allora come oggi, Marsiglia era il porto commerciale più importante del Sud del Paese. Sicuramente il più vecchio porto francese sul Mediterraneo, fondato come Massalia (poi Massilia) dai Greci e, fino alla guerra civile fra Cesare e Pompeo, un’enclave autonoma nella Gallia Narbonensis. Questo porto era collegato con tutti i possedimenti francesi tanto nel Mediterraneo quanto in Africa: ovvio che vi si registrasse la presenza di un alto numero di cittadini d’oltremare, berberi e marocchini che guardavano a Marsiglia come al terminale dei loro viaggi. Lì intorno, come tradizione per tutti gli scali molto frequentati, si era creato un labirinto di stradine e vicoli animato da bistrot, bordelli, alberghi, pensioni, ristorantini, uffici di navigazione e di collocamento. A partire dagli anni ‘20 fino agli anni ’50, la Francia aveva visto Marsiglia mostrarsi come la capitale del contrabbando di sigarette in Europa.

Coacervo di razze già di suo, essa non fu interessata dalla sola crescita dell’inurbamento, ma anche dell’opposizione al nazismo e a Vichy, in quanto i fuorusciti dal Nord Europa e dalla Francia vi si erano riversati a decine di migliaia per lasciare il continente verso l’Africa o le Americhe. A un certo punto, il sovraffollamento fu tale che si arrivò addirittura ad affittare le vasche da bagno come letti.
Dal 1941 in poi sino a quel fatidico 22 gennaio 1943, gli attentati contro le armate tedesche, i singoli soldati e i “collaborazionisti” si moltiplicarono, acquisendo una certa sensazionalità. Con la consueta organizzazione teutonica, i nazisti avevano sparso nella banlieue del porto spie e collaboratori allo scopo di ottenere informazioni sempre più accurate. Quando la Resistenza fece saltare in aria un postribolo con la morte di numerosi militari e quando una bomba all’Hotel Splendide uccise la moglie di un ufficiale consolare, Himmler diramò l’ordine (18 gennaio 1943) di distruggere il quartiere, reputato “un impero di peccato e morte”. A dire il vero, il Reichsführer delle SS aveva inizialmente ordinato di radere al suolo la città; ritornando sui suoi passi, si “limitò” a ordinare la distruzione del Porto Vecchio e la deportazione di non meno di 100.000 persone.
L’obiettivo da distruggere era il Panier a Nord del Porto Vecchio, che si componeva dei vicoli del II arrondissement ed era ritenuto, insieme al Saint Jean,
“Una Suburra oscena, una cloaca delle più impure, ove s’ammassa la schiuma del Mediterraneo”.
Louis Gillet, storico dell’arte (1876-1943), revue municipale del 21 ottobre 1942.
È il quartiere dove fu creata Massalia, a tutti gli effetti rioni malfamati di vicoli e vicoletti, scalinate e piazzette nascoste dove ogni commercio illegale era consentito, dove però la Resistenza trovava mezzi e coperture in abbondanza.
All’interno dei suoi confini sorgeva la contrada di Saint Jean, chiamata anche Piccola Napoli. Vi abitavano 30.000 persone, metà di origine partenopea che vi si erano stabiliti come emigrati, in massima parte pescatori (Saint Jean si affacciava sul Vecchio Porto) artigiani, piccoli commercianti, bottegai e portuali. Fra loro moltissime famiglie ebree, tutte schedate grazie alle leggi sulla razza applicate con rigore dal regime di Vichy. Sempre ebrei, sempre collaborazionisti fra le forze di polizia, sempre rastrellamenti. La fotocopia di quel che sarebbe avvenuto con successo nel quartiere ebraico di Roma, a settembre.
Furono rastrellati almeno 10.000 italiani con i cognomi tipicamente campani. Russo, Romano, De Rosa, Contini, Luongo Ficetola, Avossa, Barone, Castagno, Sansone… . Gente umile, famiglie povere spesso detestate dagli stessi marsigliesi che li chiamavano “babots” e “babì” (perché non crediate che i nostri vicini d’Oltralpe siano stati esenti, allora come oggi, dal razzismo e dall’avversione verso gli italiani). Allora non avevano tutti i torti, i francesi, a guardare male chiunque fosse di origine italiana: nel momento del tracollo, quelle “decisioni irrevocabili” furono prese dai francesi come un vigliacco colpo alla schiena, vile e fedifrago. Possiamo obiettivamente dar loro torto?
Oltretutto la Francia pre-Vichy era stata la baia di salvezza di tutti quei fuorusciti socialisti, comunisti, anarchici che l’Italia perseguitava. L’OVRA[3] manteneva in Francia una buona parte dei suoi agenti e spesso, con la connivenza dei flics[4], rapiva o ammazzava qualche scomodo nemico del fascismo. Ora che il regime era collaborazionista e asservito al Terzo Reich, se li ritrovava ammassati in un quartiere che era il covo della Resistenza, a Marsiglia.
E fra quelle “canaglie”, nella Suburra marsigliese, si nascondevano gli Ebrei.
Questa volta tedeschi e polizia francese fecero le cose in grande, senza preavvisi. Il giorno prima fu proclamato un coprifuoco molto stretto, e Marsiglia si ritrovò al centro di una forza coordinata di poliziotti, SS e membri della Wermacht. Dopo la Rafle du Velodrôme d’hiver (16-17 luglio 1942) che era stato il più grande rastrellamento di ebrei francesi e aveva portato all’arresto di ben 13.152 persone fra semiti, fuorusciti dai paesi occupati e sans papier, la grande retata di Parigi portò al controllo di 40.000 persone, nonché all’arresto di 5.956 persone fra cui 782 ebrei che furono inviati nel campo di sterminio di Sobibor.
Nessuno vi fece ritorno.
I poliziotti francesi furono trasferiti da Parigi al comando del “meglio” dei collaborazionisti e macellai del regime di Vichy, con i responsabili delle SS al comando dell’operazione. Parliamo di quasi 12.000 fra agenti, funzionari, gendarmi e guardie della Gendarmeria Mobile.
Nel volgere di poche ore, 20.000 persone furono evacuate dalle loro case nel II arrondissement, nel Panier. Quasi 6.000 arrestate e deportate chi ai campi di sterminio (da cui, lo ripeto, nessuno tornò), chi ai campi di lavoro. Le rimanenti 14.000 furono lasciate in mezzo alla strada quasi sulle banchine del porto, scaricate chi dai tram chi dai camion. Lasciati al freddo senza cibo, coperte e assistenza.
Infine, dopo aver provveduto a razziare le case abbandonate e al termine della scampanata della Chiesa di Saint Laurent (detta “dei Napoletani”), la Wehrmacht fece esplodere la prima carica di dinamite, alla quale seguirono centinaia di deflagrazioni che rasero al suolo 1.500 edifici e oltre 14 ettari di terreno edificato (1 febbraio 1943). Duemilaseicento anni di storia del porto vecchio di Marsiglia ridotti in rovine in poche ore.
Rimasero all’addiaccio cittadini francesi e delle colonie: erano artigiani, piccoli commercianti, gestori di bistrot, ristoranti e alberghi; ma anche prostitute, preti e mullah privati dei loro luoghi di preghiera; profughi del Senegal, oriundi napoletani e berberi; suonatori e piccoli impiegati; affittacamere e bottegai con figli, mogli, mariti e quei pochi bagagli che la fretta del rastrellamento aveva permesso di raccogliere. E piano piano furono deportati al campo di concentramento del Fréjus.
Quando il 3 maggio dello stesso anno Pétain venne intervistato sulla distruzione del Panier, non si limitò a dirsi d’accordo
«Ce n’est pas dommage. Je suis même assez d’accord qu’on ait mis par terre ce quartier».
«Non è un danno. Io stesso son molto d’accordo che il quartiere sia stato raso al suolo».
Nella registrazione dell’epoca piena di fruscii, si sente chiaramente il Maresciallo prorompere in una sonora risata. Se volete, potete ascoltare questa risata oscena a questo link:
https://www.franceculture.fr/histoire/rafle-a-marseille-en-1943-les-images-de- la-verrue-de-leurope-et-le-petit-rire-de-petain
Coloro che comandarono, diressero e organizzarono quest’ennesima atrocità non hanno ricevuto la punizione che avrebbero meritato:
René Bousquet, Segr. Gen. Police de Vichy | Graziato |
Antoine Lemoine, Prefetto Regionale | Graziato |
Bernhard Griese, SS-Sturmbannführer RHSA | 20 anni lavori di forzati in Jugoslavia, graziato dopo 5 anni |
Rolf Mühler, SS-Obersturmbannführer et chef local de la Sipo et du SD | 20 anni, graziato dopo 5 |
Pierre Barraud, Amm.re di Marsiglia | Indagato nel 1944, ben 4 mandati d’arresto 1945. 6 amnistie 15/04/1954 |
Aldo Ciappa
La Minerva
NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
[1] I Sefarditi (dall‘ebraico ספרד – Sefarad, “Spagna”) sono ebrei dei paesi Arabi. Andrebbero chiamati più propriamente orientali (mizrachim). Il termine significa letteralmente spagnoli e sarebbero quelli che hanno mantenuto il rito che si usava in Spagna e Portogallo al tempo della cacciata del 1492. Gli Aschenaziti, detti anche ashkenazim (ebraico: sing. ִזיָנ כְֲּשַׁא , pl. ִזיםָנ כְֲּשַׁא ; pronuncia [aʃkənaˈzi], pl. [aʃkənaˈzim]; anche ָנז כְֲּשׁאדֵיוְּיה YehudeiAshkenaz, “gli ebrei di Ashkenaz”), sono invece i discendenti delle comunità ebraiche di lingua e cultura yiddish stanziatisi nel medioevo nella valle del Reno. In ebraico medioevale, Aschenatz era il nome della regione franco- teutonica del Reno e aschenazita significa germanico. Fonte: Atlante storico del popolo ebraico.
[2] Donald A. Lowrie, YMCA Repr. memorandum August 1942.
[3] Opera Vigilanza e Repressione dell’Antifascismo, la polizia segreta del fascismo che dava la caccia ai nemici del regime spesso ricorrendo a omicidi, attentati e rapimenti (cfr. l’ottima analisi al link https://www.cronologia.it/storia/a1927g.htm).
[4] Poliziotti francesi.
Caroline Moorehead,La piccola città dei sopravvissuti;
Noi dei lager, nr. di Gennaio e Giugno 2019;
Non solo Carnia (pubblicazione Web), 11 giugno 2019;
Chloé Leprince – Rafle à Marseille en 1943: un quartier rasé e la petite rire de Pétain [Raid a Marsiglia nel 1943: un quartiere raso al suolo e la piccola risata di Pétain], https://balises.bpi.fr/histoire/recherches-sur-les-rafles-de-marseille-en-43;
Renée Dray-Bensousan, thèse, 2004, Les Juifs à Marseille pendant la Seconde Guerre mondiale, 1939-1944;
https://www.franceculture.fr/histoire/rafle-a-marseille-en-1943-les-image… Ahlrich Meyer, Marseille 1942-1944. Le regard de l’occupant, photographies de propagande de la Wehrmacht (édition bilingue), Bremen, Éditions Temmen, 1999;
Maurice Rajsfus, La Police de Vichy : Les forces de l’ordre françaises au service de la Gestapo, 1940/44, Le Cherche midi;
Michael Robert Marrus, Robert O. Paxton, Vichy France and the Jews
Immagini tratte da: Bundesarchiv bild 1011-027-1477-25, datate 24 gennaio1943. Rese pubbliche nel 1999