10 agosto 1258, Regno di Sicilia

Nel corso di una solenne cerimonia tenutasi nella Cattedrale di Palermo, Manfredi di Hohenstaufen (1232-1266) viene incoronato re di Sicilia.

Figlio naturale dell’imperatore Federico II (1194-1250) e di Bianca Lancia d’Agliano (c. 1210- c.1246), Manfredi trascorse la propria fanciullezza nell’incantevole cornice di Venosa, proseguendo gli studi nei due poli universitari più rinomati dell’epoca: Parigi e Bologna (1245-47). Alla morte del padre, nel dicembre del 1250, assunse invece la luogotenenza in Italia per conto del fratellastro Corrado IV (1228-1254), impegnato in una feroce lotta per mantenere la Corona di Germania[1].

Nondimeno, i mesi successivi si sarebbero dimostrati alquanto difficoltosi per il giovane rampollo, costretto a reprimere le continue rivolte feudali sostenute da papa Innocenzo IV (1195-1254). È bene infatti sottolineare come quest’ultimo, in ottemperanza agli accordi stipulati nella città di Melfi (23 agosto 1059), rivendicasse la piena autorità sui territori meridionali amministrati dalla monarchia sveva, invero subentrata agli Altavilla sul finire del XII secolo.

Con la morte prematura dell’alleato e rivale Corrado[2], scomparso neppure trentenne dopo aver contratto il morbo della malaria, le redini del potere passarono ufficialmente nelle mani del piccolo Corradino (1252-1268)[3]. Fu in tali circostanze che Manfredi ebbe modo di palesare una sorprendente abilità diplomatica ottenendo, in cambio di una formale accettazione delle prerogative pontificie, la potestà sul principato di Taranto e la completa assoluzione dalla scomunica inflittagli in precedenza, nonché l’ufficio di vicario ecclesiastico in Puglia e in Basilicata[4].

Ad ogni modo, il giuramento di fedeltà che univa i due capi di Stato sarebbe venuto meno di fronte agli antichi e insanabili dissapori: nel dicembre del 1254, forte di un esercito radunato col cospicuo patrimonio erariale, il fresco reggente mosse guerra alla Santa Sede attaccandone le truppe rimaste a presidio di Foggia. L’assoggettamento del Regno si sarebbe concluso soltanto nel 1257 grazie alle molteplici vittorie maturate sugli avversari, preludio di un’investitura regale[5] tenutasi con il beneplacito dell’allora vescovo di Agrigento, Rinaldo Acquaviva (…-1264).

In linea con le politiche tracciate dai predecessori, l’energico monarca si inserì nelle interminabili lotte comunali appoggiando la fazione dei ghibellini, espediente che contribuì ad aumentarne l’influenza in tutta la penisola. Non è quindi scorretto affermare che l’apogeo della sua parabola sia coinciso con lo scontro di Montaperti (4 settembre 1260), una battaglia campale conclusasi con il trionfo della Repubblica di Siena sulla Firenze dei guelfi.

Le prime avvisaglie di un’inversione di tendenza si sarebbero manifestate appena tre anni dopo quando Urbano IV (1195-1264), asceso al soglio petrino nell’estate del 1261, offrì la corona di Sicilia a Carlo I d’Angiò (1226-1285). All’origine di una simile scelta figurava la convinzione per cui egli potesse rivelarsi un regnante meno problematico rispetto all’omologo tedesco, nonché un docile strumento nelle mani del Papato. Di lì a poco, nel giugno del 1265, il nobile francese sarebbe entrato nella “Città eterna” senza imbattersi in alcuna forma di resistenza attiva; in seguito, con l’occupazione dello strategico ponte sul fiume Garigliano, avanzò in territorio nemico garantendosi l’appoggio di quei baroni che avevano inizialmente sostenuto il re svevo.

L’episodio decisivo si consumò il 26 febbraio 1266 nell’area di Benevento, dove le milizie germaniche e saracene combatterono con estremo valore al fianco del loro sovrano[6] mentre questi, sconfitto e in balia delle forze angioine, andava incontro alla propria morte.

La memoria di Manfredi ci è stata tramandata dal sommo poeta Dante Alighieri (1265-1321) il quale, in uno dei canti più belli e significativi del Purgatorio, mise in versi il tragico destino riservato alle sue spoglie mortali:

«[…] Io mi volsi ver lui e guardail fiso:
biondo era e bello e di gentile aspetto,
ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso.

Quand’io mi fui umilmente disdetto
d’averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;
e mostrommi una piaga a sommo ‘l petto.

Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi,
nepote di Costanza imperadrice;
ond’io ti priego che, quando tu riedi,

vadi a mia bella figlia, genitrice
de l’onor di Cicilia e d’Aragona,
e dichi ‘l vero a lei, s’altro si dice.

Poscia ch’io ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi rendei,
piangendo, a quei che volontier perdona.

Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei.

Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia
di me fu messo per Clemente allora,
avesse in Dio ben letta questa faccia,

l’ossa del corpo mio sarieno ancora
in co del ponte presso a Benevento,
sotto la guardia de la grave mora.

Or le bagna la pioggia e move il vento
di fuor dal regno, quasi lungo ‘l Verde,
dov’e’ le trasmutò a lume spento».

A. Dante, La Divina Commedia, Purgatorio, Canto III
l Canto III del Purgatorio di Dante. La parte dedicata a Manfredi di Sicilia inizia al minuto 6:37.

Niccolò Meta

La Minerva

Classificazione: 5 su 5.

NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

[1] Benché fosse stato eletto “Re dei Romani” nel febbraio del 1237, le trame intessute da Innocenzo IV obbligarono il monarca a misurarsi con numerosi pretendenti, in primis Enrico Raspe (1204-1247) e Guglielmo II d’Olanda (1227-1256).


[2] Sebbene avessero combattuto fianco a fianco negli assedi di Capua e di Napoli, i rapporti tra i due fratellastri non tardarono a peggiorare: nel biennio compreso fra il 1253 e il 1254, la posizione di Manfredi fu gravemente indebolita dalle scelte operate da Corrado, solerte nel favorire il tedesco Bertoldo di Hohenburg (1215-1257) e i suoi più stretti alleati.


[3] Vista l’età di Corradino, la reggenza in Italia sarebbe dovuta spettare al summenzionato Bertoldo che, complici le pressioni esercitate da Manfredi, rinunciò ben presto all’incarico.In quanto tutore del fanciullo, il suddetto ufficio venne allora reclamato dal pontefice Innocenzo IV.


[4] Aspetto non meno importante, Manfredi vide garantita la propria posizione come reggente e, al tempo stesso, il diritto alla successione al trono dopo Corradino.


[5] L’investitura regale fu possibile grazie alle voci insistenti sulla presunta morte di Corradino, forse alimentate dallo stesso Manfredi.

[6] La stessa tenacia non fu dimostrata dai nobili italiani che, di fronte all’imminente sconfitta, preferirono abbandonare il campo di battaglia.

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