La Guerre d’Algerie: la pagina torbida della Legione Straniera

Legio Patria Nostra[1]

«Le porte dell’inferno sono aperte a molti, ma non a tutti».

Il comandante della Legione ad un giornalista che chiedeva se Adolf Hitler si fosse arruolato nel corpo. Anno: 1945

La Legione straniera è uno speciale corpo militare formato da uomini provenienti da molti Paesi, nonché simbolo della presenza militare francese in Africa.

È un corpo d’élite.

La Guerra d’Algeria non può essere considerata una guerra coloniale, come invece lo era stata il povero tentativo di rioccupare la Cocincina (o Indocina), portandola politicamente e storicamente indietro al 1937/1938, ossia ben prima dell’occupazione nipponica. Una conquista che aveva dato a quei Paesi, che poi presero il nome di Cambogia, Vietnam e Laos, un misto sentimento di indipendenza (i nipponici gli avevano concesso una certa autodeterminazione) e di fierezza[2]. Nel momento in cui la voglia di libertà colpì l’Algeria dando inizio ai vari movimenti clandestini libertari, essa era territorio metropolitano francese e François Mitterrand, l’allora Ministro dell’Interno,[3] fece ferme e decise dichiarazioni che sottintendevano la volontà di rispondere a ogni tentativo indipendentista. Dopo i primi attentati del novembre 1954[4] Mendès-France, all’epoca Primo Ministro, dichiarò nel corso di un intervento all’Assemblée Nationale l’inaccettabilità di qualsiasi tentativo di secessione. Eppure Parigi, dopo aver perso quasi tutte le sue colonie d’Oltremare in Asia e Africa, dovette cedere al sentimento irredentista.

Fu un conflitto sanguinoso, sporco e crudele (ma non lo sono forse tutte le guerre?) che vide azioni di guerriglia e controguerriglia, attentati da parte algerina e francese. In mezzo, a difendere l’onore della madrepatria, un esercito nato dalle ceneri di un umiliante conflitto mondiale e già preso a bastonate in Indocina, pieno di memorie di grandezza, di voglie di Grandeur ma di pochezza effettiva.

È divenuta consuetudine collocare questa guerra fra il 1° novembre 1954, giorno d’Ognissanti/Toussaint[5], al 19 marzo 1962.

Nel 1954, la popolazione in Algeria era divisa in due fazioni: i pieds-noirs (piedi neri) cioè i francesi nati e cresciuti lì, eredi dei primi colonizzatori e veri motori dell’economia locale. Ferocemente attaccati al suolo natio, dove avevano prosperato in qualità di artigiani e commercianti, soprattutto nell’area di Algeri, Orano e di Bona. Benché costituissero solo il 12% della popolazione, occupavano importanti posizioni a livello amministrativo, giudiziario, nelle scuole e nelle forze di polizia. L’altra fazione erano invece gli algerini di origine berbera e araba, la stragrande maggioranza dei quali musulmani.   

Inizialmente le varie anime dei movimenti di liberazione (UDMA – PCA – MNA – FLN[6]) combattevano fra di loro per la leadership, ottenendo il solo effetto di confondere una popolazione che le vedeva impegnate in una lotta fratricida (solo in Algeria, nel 1954, oltre 3.000 attentati fra PCA e FLN) e nel contrastare i francesi. Alla fine prevalse l’FNL grazie anche alla superba conduzione di Ahmed Ben Bella che, nonostante la detenzione in Francia verso la fine della guerra, seppe mantenere una costante pressione sulle forze avversarie e una coesione popolare anomala[7]. Ben Bella era istituzionalmente un socialista di ispirazione nasseriana.

L’esercito francese era reduce dalla sconfitta subita in Indocina, nel maggio del 1954, una disfatta ignominiosa culminata nel disastro di Dien Bien Phu e la prigionia di centinaia fra soldati e legionari. Inizialmente l’esercito spostò una serie di truppe di leva che, scarse di addestramento e motivazioni, non ottennero risultati, ma meschine figuracce. Del resto gli algerini adottarono un sistema di guerriglia che godeva dell’appoggio popolare, specialmente nelle zone urbane. Azione che mal si adattava alle tattiche normali dell’Armée de Terre [8].

Solo il dispiegamento della Legione Straniera, che aveva in Algeria i suoi santuari storici, fece volgere drasticamente le fortune della guerra.

La Legione, memore appunto dell’Indocina, mise a punto una nuova strategia: la “guerra contro-sovversiva”, caratterizzata da inedite tecniche di contro-guerriglia che facevano del controllo della popolazione la posta del conflitto. In pratica adottò con gli indipendentisti una strategia che considerava gli stessi civili fiancheggiatori dei ribelli.

Il nerbo delle truppe era costituito dai veterani d’Indocina che avevano assimilato, su quei campi di battaglia, la tattica e le idee della guerriglia vietminh[9]. Nei campi di prigionia, invece, avevano appreso con la forza e le torture i sistemi e l’ideologia comunisti, imparando a contrastarli.

La guerra fu segnata da attentati e cruente rappresaglie, nonché dall’uso generalizzato della tortura e del napalm. Non mancarono numerosi stupri cui si resero responsabili i militari francesi. Il principio era contrastare l’azione della guerriglia “fellagha[10] con gli stessi sistemi e pragmatismo applicato dai vietnamiti verso i francesi. Il sistema prevedeva azioni spietate mirate a terrorizzare la popolazione, il vero faro di supporto della rivoluzione.

Fra il 1956 ed il 1957, l’insurgency algerina si trovava a combattere con elementi dell’Armée de Terre di leva, comandati da ufficiali e NCO[11] preparati a condurre una guerra diversa, di movimento, come durante la seconda guerra mondiale e in Corea. Masse di soldati, carri e mezzi semoventi, appoggiati da artiglieria che si confrontavano. L’unico appoggio previsto e accettabile era quello aereo, nessuno di tipo verticale[12]; invece delle truppe regolari che si aspettavano di incontrare, dovettero misurarsi con le ombre di un nemico evasivo, notturno[13] e spietato. Un avversario che usciva dai quartieri della popolazione rurale per attaccare magazzini, posti di polizia, fattorie, infrastrutture e, talvolta, anche caserme non ben difese. La notte i “fellagha” uccidevano famiglie di europei violentando donne e bambini[14], attaccavano coloni di origine francese o algerini collaborazionisti. Spesso un rifiuto a nascondere armi, un fuggitivo o fornire cibo erano occasione per uccisioni, mutilazioni e danneggiamenti. Oltre 7.000 vittime si annoverano in quei due anni fra europei e musulmani. Le stesse truppe di leva avevano timore di uscire dopo il tramonto, almeno sino all’arrivo dei legionari, che in molti casi vennero integrati nei reparti già dispiegati sul territorio per apportarvi esperienza e nuove tattiche.

Il dispiegamento di reparti della Legione, tanto parà quanto di fanteria, spostò l’ago dei combattimenti a favore della Francia in quanto operavano sul campo specularmente alle unità della guerriglia, restituendo colpo su colpo. Con la differenza che, mentre i gruppi guerriglieri dovevano operare di notte nascondendosi di giorno dal momento che i francesi avevano il controllo dell’aria, la Legione operava 24 ore su 24 scatenando un terrore maggiore, senza esitazioni o remore. Troppi massacri avevano visto in Indocina per intenerirsi: Dien Bin Phu era stata una spietata maestra.

Operando con l’ausilio degli elicotteri, per la prima volta usati in appoggio a truppe combattenti, essa poteva vantare una maggior mobilità.

Dove veniva messa in difficoltà era al confine con la Tunisia dove la lunghezza della frontiera, malgrado elettrificazioni a campi minati, lavorava a favore degli infiltrati, così come la corruzione di molti ufficiali dell’esercito di guarnigione e di funzionari scontenti o impauriti

Sebbene fossero riusciti a instaurare un clima di paura e incertezza a livello nazionale, i gruppi combattenti avrebbero incontrato non poche difficoltà nell’incitare gli autoctoni alla ribellione contro il potere coloniale.

Alla lunga, gli adepti dell’ALN e del FLN sarebbe però riusciti a estendere la loro influenza sulle aree montuose dell’Aures e della Cabilia, nonché intorno alla città di Costantina e a sud di Orano e Algeri. È bene sottolineare come il Fronte di Liberazione Nazionale fosse riuscito, a dispetto di qualunque pronostico, a realizzare un’amministrazione militare efficiente, in grado di supportare i propri combattenti con armi, cibo e volontari. Nel frattempo si erano andate creando innumerevoli organizzazioni di tipo sociale, civile e giudiziario, humus del futuro Stato algerino. Quasi mai, però, in senso cooperativo al Fronte, bensì come autonoma decisione: fattori che, in ultima istanza, costituirono un problema esiziale a indipendenza ottenuta.

Altro motivo di cronica difficoltà fu la mancanza di comandanti esperti, sia a causa delle perdite sofferte in azione, sia per la piaga delle defezioni e delle purghe. A ciò dovevano aggiungersi le lotte intestine per l’esercizio del potere, episodi che si riflessero sulla leadership delle singole wilayat (province). Alcuni ufficiali giunsero perfino ad istituire dei veri e propri feudi, utilizzando gli uomini sotto il loro comando come longa manus per realizzare i propri interessi. Malgrado i servizi di spionaggio francesi fomentassero simili schermaglie, esse non avrebbero precluso l’effettività globale delle azioni dei guerriglieri.

L’espressione più autentica della nuova guerriglia urbana fu la battaglia di Algeri, iniziata il 30 settembre 1956 quando tre ordigni furono piazzati in altrettanti luoghi della capitale, tra cui l’ufficio centrale dell’Air France. E fu un fallimento, grazie agli sforzi profusi dalla Legione.

Intanto Robert Lacoste, ministro residente e governatore generale dell’Algeria, forte dei poteri speciali attribuitigli dall’Assemblea Nazionale per schiacciare l’insurrezione, autorizzò il generale Jacques Massu a dispiegare i 7.000 paracadutisti che componevano la 10° Divisione, proclamando la legge marziale.

Di fronte allo sciopero generale del 28 gennaio 1957, imposto ai lavoratori e alle imprese musulmane per riportare il focus internazionale sulle vicende algerine, l’alto ufficiale francese rispose attingendo dal repertorio di comportamenti e di esperienze accumulati in Indocina, ricorrendo ad attività di controterrorismo. Ogni negoziante che aveva abbassato la saracinesca se la vide distruggere dai mezzi dei legionari, solerti nell’abbatterle trascinandole con una camionetta. Furono anche rastrellate dozzine di civili nella casbah, inviando quelli provvisti di documenti in regola al porto per scaricare le navi, nelle caserme coloro che ne erano sprovvisti. Qui vennero interrogati indiscriminatamente, spesso venendo sottoposti a torture quali scariche elettriche ai testicoli o calze piene di sabbia bagnata usate come manganelli (metodi usati comunemente dai Vietminh sugli stessi legionari). Dal punto di vista militare, l’azione poté considerarsi un vero e proprio trionfo, costringendo i leader dei ribelli a lasciare Algeri o a subire l’arresto dei suoi membri chiave. Una buona parte del successo della Legione fu dovuto al fatto che, non appena dispiegati, alcuni suoi membri riuscirono a impadronirsi dei dossier politici custoditi dalla Gendarmeria, ottenendo informazioni preziose su chi cercare e dove applicare le azioni di forza. Ogni unità del 1° Parà legionari aveva un proprio ufficiale all’intelligence che agiva specularmente con l’ufficiale politico della cellula terroristica affrontata.

Parimenti, le truppe francesi colpivano con estrema violenza i villaggi sospettati di aiutare i guerriglieri, deportando circa 2 milioni di civili affinché venissero ricondotti in aree lontane dai teatri operativi.

All’atto pratico, però, le vittorie ottenute sul campo di battaglia ebbero l’effetto collaterale di indisporre l’opinione pubblica, presentando il soffocamento della rivolta come un’autentica guerra coloniale. Niente di più lontano dalla realtà: l’Algeria era considerata territorio nazionale francese e la ribellione, più che una rivoluzione vera e propria, aveva assunto i tratti di una mera secessione, anticipo di una guerra civile. E i conflitti civili, come ben si può immaginare, sono affari sporchi. In un rapido volgere degli eventi, il generale Jacques Pâris de Bollardière e il segretario generale della polizia di Algeri, Paul Teitgen, entrambi contrari ai metodi utilizzati, scelsero di rassegnare le loro dimissioni.

Nonostante il clamore suscitato da simili eventi, l’Eliseo fu per mesi restio ad ammettere la gravità della situazione imperante in Algeria, dove fino a quel momento si erano avvicendati oltre 400.000 uomini. Chi fece la vera differenza fu però la Legione, la quale aveva da sempre in Sidi Bel Abbès la sua mitica base di addestramento e che in Indocina, l’ultima guerra combattuta dalla Francia, aveva pagato il maggior tributo di sangue.

La battaglia di Algeri fu vinta grazie alla spietatezza di sistemi usati in città dai legionari. Malgrado la debolezza dei generali, essi erano infatti riusciti nell’impresa di pattugliare il confine con la Tunisia, come viene descritto qui di seguito da un italiano arruolato nella Legione e distaccato in Algeria:

La Legione Straniera ha sicuramente il suo fascino, ma è bene ascoltare chi c’è stato realmente. L’autore, classe 1934, siciliano di famiglia numerosa, decide di andare a Marsiglia ad arruolarsi per spirito di avventura, senza sapere neanche una parola di francese. Ma si sa, nella Legione non vanno per il sottile. È il 1957; lui e le altre reclute vengono mandati in Algeria, dove si addestrano nella mitica base di Sidi Bel Abbès e poi combattere una durissima guerra per salvare gli interessi dei francesi residenti. L’Algeria infatti non è colonia, ma provincia d’Oltremare, e il generale De Gaulle ha promesso ai francesi che quella terra non verrà abbandonata. Ma dal 1954 c’è una feroce rivolta che durerà sino al 1962, quando l’Algeria diventerà una nazione indipendente ed araba […] negli anni ’50 la Legione Straniera, oltre che di avventurieri, profughi e delinquenti, è ancora piena di ex-SS tedesche e francesi, di repubblichini italiani e di reduci dell’Afrika Korps, divenuti nel frattempo sottoufficiali di truppa[15]

Al reparto assegnato al nostro baldo giovane tocca un lavoro duro, ma non sporco: pattugliare la lunghissima frontiera con la Tunisia (320 km), al fine di evitare l’infiltrazione di fellagha e di armi. La frontiera è una continua teoria di reticolati anche elettrificati, campi minati e varchi presidiati; i turni di guardia sono di 24 ore e la coesione del reparto è strettissima. Frequenti gli scontri a fuoco notturni. Notoriamente i legionari sono molto uniti, e l’autore era stato punito quando in addestramento era andato più avanti della sua squadra. D’altro canto il nemico è feroce e non fa prigionieri. Anzi, li tortura e li mutila, quindi meglio restare sempre uniti. Ma le operazioni non si svolgono solo nel deserto: spesso i legionari vengono spostati con camion o elicotteri verso zone più impervie dell’interno. Sono paesaggi inediti per chi pensa che l’Algeria sia soltanto un deserto di sabbia e rocce: l’autore descrive spesso foreste di sugheri infestate da zanzare e da branchi di cinghiali più pericolosi dei partigiani del FLN; di valichi dove fare la posta ai ribelli; di forre e grotte dove spesso e volentieri si scoprono i cadaveri in putrefazione degli algerini sodomizzati, uccisi, torturati e mutilati da altri algerini – fazioni perdenti del FLN o contadini e pastori indecisi. A fare i conti, nel libro devono seppellirne almeno cinquecento, vomitando di continuo e dando un’immagine assai meno romantica di Beau Geste.

Ma nell’insieme, nessuno qui fa bella figura. Sicuramente i legionari non sono gentiluomini e uccidono senza rimorsi, ma della società algerina qui esce un’immagine altrettanto orribile: il milione e mezzo di francesi residenti (agricoltori e commercianti), i c.d. Pied noirs, hanno paura di perder tutto e sono quindi conservatori pronti a tutto. Parte degli algerini vorrebbe restare coi francesi ed è esposta a feroci rappresaglie, a cominciare dagli interlocuteurs valables. I berberi della Kabyla odiavano e odiano tuttora gli arabi quanto e più dei francesi. Le truppe indigene – gli harkis – o sono poco fidate, o vessano le tribù locali. In più, i quasi due milioni di algerini spostati dall’interno in zone più sicure e controllabili avrebbero posto per decenni problemi anche al nuovo stato nazionale. Infine, diversi attori del conflitto – troppi – lavoravano in modo clandestino o illegale, con la tortura o le rappresaglie mirate contro i maghrebini, le c.d. ratonnades: ad esempio l’OAS (famigerato esercito clandestino), più i servizi segreti di polizia francese (il DOP), che i legionari disprezzano per l’uso che fanno della tortura. Essi infatti riconoscono nei fellagha combattenti valorosi, ancorché barbari, ma detestano chi gioca sporco. E in questo bel mondo i legionari pattugliano, combattono, marciano, si difendono dai ribelli, ma anche dagli uomini del DOP e dagli ufficiali dell’esercito metropolitano (un legionario può prendere ordini solo da un ufficiale della Legione). Vanno spesso per bordelli, gestiti da uomini vili e pieni di mogli ripudiate e di ragazzine violentate o vendute. Ma altrettanto spesso fanno a cazzotti con arabi e francesi nei locali cittadini, dove di regola si entra in gruppo. I legionari non temono il corpo a corpo o i coltelli e chi fa uno sgarro alla Legione sa che la pagherà molto cara.

Da: Sebastiano Veneziano, legionario in Algeria (1957-1962)

Veterani induriti e sopravvissuti perfino a Dien Ben Phu, essi tormentavano le reclute in tutti i modi possibili: disciplina e addestramento durissimi, inumane le punizioni. La più caratteristica: correre per 10 km con lo zaino caricato con 10 kg di sabbia. Sempre meglio del tombeau, cioè passare la notte dormendo in una fossa rettangolare scavata nel terreno con una sola coperta, in balia di un’escursione termica da 40° a 0°. In più, naturalmente, le flessioni e i giorni di consegna o di prigione senza paga. Per i disertori poteva toccare anche la compagnia disciplinare di Colomb-Béchar, a sud del Paese.

Per l’epoca, quei soldatacci erano anche i migliori istruttori del mondo, grandissimi figli di puttana quanto si vuole, ma capaci di insegnare ai legionari tutti i trucchi del mestiere; senza quelle dritte, moltissimi sarebbero morti. Le statistiche danno ragione alla durezza dell’addestramento: su un organico di 25.000 uomini, in otto anni di guerra in Algeria, la Legione ha perso 1.976 soldati (su un totale di 28.600 perdite francesi o alleate), il che è poco rispetto ai 141.000 ribelli algerini morti (cifra ufficiale) e non tutti – come si vedrà – uccisi dalle forze coloniali. Perché sempre di una guerra si trattava, al di là delle belle intenzioni; guerra che, anche se fosse stata vinta sul campo, sarebbe stata comunque superata dagli sviluppi politici.

Perché quella che affrontava la crisi algerina era una Francia confusa, corrosa, stanca, guidata da una classe politica, quella della IV Repubblica, talmente raccapricciante da far gelare il sangue nelle vene.

Si impegnò in un conflitto che vedeva quale campo di battaglia un Dipartimento d’oltremare, giacché l’Algeria non era considerata una colonia, ma territorio francese dove vivevano nove milioni di individui: otto milioni di autoctoni, molti dei quali favorevoli a mantenere un forte legame con la Francia, ed un milione di pied-noirs, francesi nati in Algeria.

La Legione, operando in maniera autonoma, aveva acquisito il rispetto delle altre unità combattenti in Algeria. Ma operò accettando ogni critica e rifiutandosi di recedere dagli impegni presi.

Quindi no all’abbandono dell’Algeria, no all’abbandono degli Harkis[16] e dei  pied-noirs, no al tradimento della parola data e della bandiera. No alla svendita dell’onore, del loro onore di legionari e di soldati. Dopo l’Indocina e le umiliazioni subìte lo avrebbero difeso contro tutto e tutti. Ad ogni costo. E fu esattamente quel che fecero.

Ed ecco che contro lo scaricare l’Algeria si muovono i pezzi grossi.

Il 21 aprile 1961, quattro generali francesi (Raoul Salan, Maurice Challe, Edmond Jouhaud e André Zeller) prendono il potere ad Algeri, occupando anche l’aeroporto. Stranamente, la sera stessa Edith Piaf tiene un concerto all’Olympia di Parigi, dedicando una sua bellissima canzone ai “ragazzi di Algeri”, entrata poi nel novero delle canzoni legionarie, “Non! je ne regrette rien!”. Fu un’azione improvvisa che prese alla sprovvista il governo centrale ed anche De Gaulle. Fu la prima e unica volta che un’azione militare rivoluzionaria, tesa a detronizzare un governo in carica, venne condotta da militari di una nazione NATO.

Un vento nuovo pare scuotere l’Europa dei primi anni del benessere, del MEC e della solidità francese, poiché i generali ribelli hanno al loro comando unità motivate e temprate dai combattimenti, hanno gli aeroporti algerini sotto il loro controllo e aerei che in tre ore possono lanciare su Parigi legionari paracadutisti.

Nella capitale regna il caos, ci si aspetta da un momento all’ altro che i reggimenti d’Algeria, gli stessi che avevano vinto la battaglia di Algeri smantellando la rete terroristica dell’FLN in città, piombassero dal cielo. Unità comandate da giovani colonnelli arrabbiati, sulla carta invincibili, (probabilmente lo erano e, soprattutto, nessuno nella Francia del 1961 aveva voglia di verificarlo sul campo).

Così, nella giornata del 22 aprile, vengono distribuite armi pesanti alla CRS (Compagnie Républicaine de Sécurité). Ci si aspetta nella notte di vedere centinaia di paracadute aprirsi sugli aeroporti di Parigi per occuparli e consentire l’atterraggio di altre truppe ribelli. Dopo aver perso la faccia nel 1940, in Africa e nelle risaie del Vietnam, la nuova generazione di militari addestrata dai combattimenti, affinata dalle esperienze in prigionia e infuriata per il voltafaccia degaulliano, pare pronta a prendersi la sua vendetta. Sapendo che non ha vera opposizione per arrivare ad occupare l’Eliseo e cacciare “Charles le Gros”. E invece no.

Quando gli aerei da trasporto carichi di parà della 10me Division Parachutistes stavano per decollare dagli aeroporti algerini, il comando della VI Flotta USA fece sapere ai generali ribelli di Algeri che i suoi aviogetti avrebbero abbattuto tutti gli aerei in volo verso la Francia, senza alcuna eccezione. Gli americani non mostrarono esitazioni nel proteggere il nuovo mondo che avevano creato, e la parabola degli insorti d’Algeria si avviò alla sua drammatica conclusione.

Il resto è storia nota. Nella notte del 22, un rinfrancato De Gaulle chiama al dovere e al giuramento prestato tutti i membri delle Forze Armate. Il Putsch perde di forza e si dissolve come neve al fuoco. I generali si nascondono in clandestinità, da cui i servizi di sicurezza francesi li staneranno e porteranno dinanzi ai giudici. Da essa molti ufficiali fondano l’OAS (Organization de l’Armée Secrète), che inizia una delle pagine più sanguinose per attentati della storia francese. Organizzazione che viene via via smantellata con arresti, torture e condanne di molti ufficiali fra i quali  il colonnello Jean Marie Bastien-Thiry[17], un giovane di appena trent’anni, padre di tre bambine in tenerissima età per il quale la Francia intera chiese clemenza. De Gaulle fu inflessibile, e Bastien Thiry venne fucilato, ma ancora oggi i francesi onorano quotidianamente la sua tomba.

Cosa successe alle unità della Legione?

Il reggimento (1er REP) fu sciolto il 30 aprile 1961, su decreto del Ministro della Difesa Francese. Dopo essere stato informati che il loro reggimento (1er REP) doveva essere disciolto e che erano stati assegnati ad altri reparti, i legionari bruciarono il padiglione cinese acquisito in seguito all’assedio di Tuyên Quang, nel 1884, e fecero esplodere la loro caserma.

Fu allora che la Legion acquisì ufficialmente, come canzone da parata “Non, je ne regrette rien, la canzone di Édith Piaf che i loro sottufficiali e graduati cantavano lasciando la caserma di Zelanda per il ridispiegamento. Durante la marcia (al passo lento della Legione) verso l’imbarco al porto di Algeri, fra le ali di folla dei pieds-noirs che salutavano i loro eroi inquadrati e sorvegliati da decine di gendarmi armati, fu questa la canzone che cantavano a bocca chiusa, ripresa poi e cantata dalla folla.

A quel punto, una volta arrivato in Francia, parte del reggimento abbandonò per passare all’Organizzazione de l’Armée Secrète (OAS). Coloro che non si unirono al putsch furono scortati in Francia e detenuti a Fort de Nogent.

Il 1° Régiment Parachutiste Étranger, parte della 10° Divisione Paracadutisti, fu disciolto il 30 aprile 1961.   Tanto questa, quanto la 25me Division Parachutiste, furono sciolte a seguito del putsch dei generali. Tuttavia, il 2° Reggimento Paracadutisti Stranieri, che faceva parte della 25me Division Parachutiste, rimase in vigore come unico reggimento parà della Legione.

Il 1° Reggimento Paracadutisti era quello comandato da Helie’ Denoix de Saint Marc.

In quella livida mattinata, mentre i parà rispondevano all’amore di quella folla salutandola a modo loro e l’eco delle ultime note si perdeva nella frizzante aria mattutina, l’Europa dei Centurioni lasciava, forse definitivamente, il passo a ben altra Europa.

In ogni caso, la perdita dell’Algeria fu un colpo sotto la cintura, quasi un seppuku [il suicidio rituale dei samurai] politico per la Repubblica francese, che dovette affrontare una vera e propria secessione con l’esodo di un milione di connazionali emigrati forzatamente verso la madrepatria, che tanto madre con loro non era stata e né tantomeno matrigna.

Costretti ad andare via da dove erano nati, “La valise ou le cercueil” (la valigia o la bara) dicevano loro, lasciarono un Paese di cui erano stati la spina dorsale in chiave amministrativa ed economica, il quale avrebbe vissuto per anni nel disordine di un comunismo applicato a radici musulmane, perdendosi nelle lotte religiose e politiche spesso bagnate con massacri incomprensibili a noi europei, che solo con la fine dell’URSS e la coscienza delle fortissime risorse minerali ha saputo trovare una parvenza di equilibrio.[18]

Detestati dai loro stessi concittadini, si trasferirono in oltre 900.000 anime nella parte meridionale della Francia, acquisendo piano piano coscienza di sé e contribuendo in particolar modo al dinamismo di città come Montpellier, Perpignan e Nizza.

De Gaulle era di nuovo in sella, pronto a pompare i suoi ideali di grandezza e di gallismo.   Uomo dannatamente rigido e pragmatico che alla fine, per fortuna della Francia e dell’Europa, fu costretto dall’elettorato ad andare in pensione. Dopo aver rinnegato l’amicizia sputando politicamente in faccia alle due nazioni che lo avevano salvato durante la seconda guerra mondiale e la Guerra d’Algeria.

Il suo ostracismo all’ ingresso dell’Inghilterra nel MEC (oggi UE) e agli Stati Uniti portarono Parigi ad uscire dalla NATO. perché “Charles le Gros” reputava eccessive le ingerenze americane.

Furono gesti grandiosi. Per lui. In nome della Grandeur aveva così ringraziato gli inglesi per averlo accolto, vestito e nutrito quando i tedeschi avevano annichilito la Francia, e gli americani per aver impedito ai militari di occupare l’Eliseo.

Si sa, le Nazioni hanno interessi e non amicizie, ma de Gaulle ha spesso esagerato con la Ragion di Stato in nome di una “Grandezza” che senza Churchill, Franklin D. Roosevelt e Dwight Eisenhower non sarebbe mai esistita.

Aldo Ciappa

La Minerva

Classificazione: 5 su 5.

FONTI DI ISPIRAZIONE E CONSULTAZIONE

Bernard Droz et Évelyne Lever, Histoire de la guerre d’Algérie

Jaeghere, Michel, Le livre blanc de l’armée française en Algérie

Benjamin Stora, La guerra d’Algeria

Andrea Brazzoduro, Soldati senza causa. Memorie della guerra d’Algeria

Jean-Pierre Rioux (a cura di), La Guerre d’Algérie et les Français

Sebastiano Veneziano, Legionario in Algeria (1957-1962)

Anonimo Legionario, Al servizio della Legione Straniera

Ticino Live ed. dell’11 marzo 2019

I Pretoriani  & i Centurioni,  aut. Jean Latérguy, da cui è stato tratto Né Onore né gloria, film con Anthony Quinn, Alain Delon e Claudia Cardinale

La battaglia di Algeri film di Gillo Pontecorvo

MILES Rivista Militare

Venner, Dominique (2004). De Gaulle: La Grandeur et le Néant [la Grandezza e il nulla assoluto]

La Legion et la bataille à Ðiên Biên Phú: LA LEGION EST LEUR PATRIE di Heinz Duthel.

I dettagli temporali sono tratti da Wikipedia –


NOTE

[1] Motto del 3e R.E.I. generalmente riferito alla Legione. Il 3e R.E.I.: Troisième Régiment Étranger d’Infantrie – 3° Reggimento Di Fanteria Straniera – è un’unità di fanteria della legione straniera francese stanziato nella Guyana francese. È il reggimento più decorato della Legione.

[2] Ognuna di quelle tre Nazioni fu creata attorno a un ceppo originale: Khmer per la Cambogia, Lao per il Laos e Việt per il Vietnam. Ceppi originali che, per sangue e lingua, hanno tuttora una forza coesiva

[3] Un trentasettenne Mitterand, futuro Presidente francese

[4] L’inizio del movimento irredentista algerino si fa risalire al 1° novembre.

[5] Toussaint Rouge, noto anche come Toussaint Sanglante, è il nome dato alla serie di attentati avvenuti il ​​1 ° novembre 1954 in Algeria con 4 soldati francesi, 4 pieds-noirs e 1 algerino morti. Nell’Algeri odierna è motivo di festa nazionale.

[6] UDMA Union Démocratique du Manifeste  Algerien -PCA Parti Communiste Algérien – MNA  Manifeste National Algérien – FLN Front de Libération Nationale

[7] L’anomalia risiede nell’eterogeneità etnica degli algerini, la cui maggioranza è di stirpe berbera.

[8] Così si chiama l’esercito francese (Aviazione: Armée de l’Air e Marina: Marine Nationale)

[9] Ramo combattente del Việt Minh (abbreviazione di Việt Nam Độc lập Đồng minh Hội, ‘Lega per l’Indipendenza del Vietnam’), è stata un’organizzazione politico-militare vietnamita. Nacque nel 1941 come movimento di resistenza al colonialismo francese in Indocina.[Wiki]

[10] Letteralmente “bandito” in arabo, si riferisce a gruppi di militanti armati collegati con i movimenti anti-colonialisti del Nordafrica francese. Nella maggior parte dei casi viene utilizzato per definire i nazionalisti algerini.

[11] Dall’inglese (USA) Non Commissioned Officer, ossia sottufficiali.

[12] Di là da venire l’uso dell’arma elicotteristica che aveva visto il suo inizio in Corea, usata prevalentemente per MEDEVAC  (evacuazione feriti) e rifornimenti veloci,  la teorizzazione del supporto “verticale” vera e propria fu messa a punto dagli specialisti delle forze speciali USA e Russe nel periodo iniziale della Guerra del Vietnam

[13] I francesi non avevano ancora sviluppato tattiche di combattimento per queste condizioni.

[14] I cui corpi straziati venivano lasciati bene in vista per aumentare il disagio e il terrore fra quei giovanotti di vent’anni.

[15] Personaggi che, oltre alla sconfitta del 1945, hanno dovuto ingoiare il boccone amaro dell’Indocina [n.d.a]

[16] Musulmano algerino lealista che aveva servito come ausiliario dell’esercito francese nella guerra d’Algeria.

[17] Organizzatore dell’attentato a De Gaulle del 22 agosto 1962, fallito per la freddezza dell’autista del Generale (ne dà un’ottima descrizione nel suo libro “Il giorno dello Sciacallo” Forsith). Fu condannato a morte per fucilazione. Nonostante le richieste da ogni parte della Francia, De Gaulle non concesse la grazia. Ultima fucilazione in Francia. 11 marzo 1963 Fort d’Ivry.

[18] L’Algeria è il diciassettesimo Paese al mondo per riserve di petrolio, decimo per quelle di gas naturale.

Un pensiero riguardo “La Guerre d’Algerie: la pagina torbida della Legione Straniera

  1. Interessantissimo

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