Una nazione nascerà in un giorno

…EPPURE SION, ALL’INIZIO DEI DOLORI, HA SUBITO PARTORITO I FIGLI…

Isaia 66:8

Né la moralità, né la tradizione ebraica possono negare l’uso del terrore come mezzo di lotta.
[…] Siamo decisamente lontani da scrupoli di ordine morale sui campi di battaglia nazionali. Vediamo davanti a noi il comando della Torah, il più alto insegnamento morale del mondo: cancellate – fino alla distruzione! Siamo particolarmente distanti da ogni sorta di esitazione nei confronti del nemico, la cui perversione morale è accettata da tutti.

Tratto dall’edizione del giornale clandestino della Banda Stern, il He Khazit (agosto 1943)

Verso la fine della seconda guerra mondiale, gli ebrei della Palestina avevano appoggiato la Gran Bretagna facendo arruolare, nel suo esercito, un’unità combattente conosciuta con il nome di Brigata ebraica[1]. Formata nel settembre del 1944, essa era stata reclutata tra i membri degli Yishuv[2] e diretta anche da ufficiali inglesi. Assieme ad altri raggruppamenti militari e paramilitari, costituì la base da cui sarebbero poi nate le Forze di Difesa Israeliane, spesso chiamate Tzahal (o Tsahal) .

È giusto sottolineare quanto questa collaborazione fosse stata accolta malvolentieri da Londra, da sempre schierata su posizioni filo-arabe e perciò insofferente della presenza semitica in Medio Oriente, pur non avendo mai ritrattato la Dichiarazione Balfour (2 febbraio 1917)[3]. Una volta terminato il conflitto, i membri del reparto avrebbero aderito a quella rete organizzativa che incoraggiava, con modalità più o meno trasparenti, l’emigrazione dei sopravvissuti alla Shoah in territorio palestinese[4].

Furono le pressioni dell’opinione pubblica a spingere i governi statunitense e britannico a istituire, nel corso del 1946, una commissione d’inchiesta per valutare le problematiche relative all’insediamento dei superstiti, la quale raccomandò l’abolizione delle Land Transfer Regulations (1940) e l’ammissione immediata di 100.000 profughi. Nondimeno, l’intero progetto dovette scontrarsi con la strenua opposizione dei diretti interessati, oltre che con una moltitudine di influenze legate al mondo della finanza e del petrolio.

Molti erano i Paesi favorevoli all’idea, ma ciò che toccava realmente le corde politiche erano gli aspetti venali: gli arabi, feroci avversatori del disegno, sedevano su un oceano di greggio che utilizzavano come strumento di ricatto; dall’altro lato, le lobby ebraiche mettevano sul piatto della bilancia sia la loro forza economica, sia quella morale della Shoah.

Forte del proprio dominio sui mari, il Regno Unito controllava le principali rotte migratorie per la Palestina, bloccando qualsiasi battello e dirottandolo su Cipro. Qui infatti la “perfida Albione” aveva costruito dei campi per rinchiudervi i transfughi, i quali appena usciti dall’esperienza concentrazionaria si ritrovavano in strutture squallide e prive di qualunque assistenza. Malgrado non vi si morisse se non per le malattie, patire una simile trattamento a opera di una potenza che aveva contribuito a liberarli era, forse, una prova ancora più beffarda e crudele per quelle povere anime sfuggite alle camere a gas.

Indipendentemente dai blocchi navali e dalle disuguaglianze, l’immigrazione clandestina proseguì a tamburo battente grazie alla costanza, alla sfacciataggine e all’inventiva delle organizzazioni sioniste, prima fra tutte il Palmach[5]. Queste non si occupavano del solo arrivo dei connazionali, ma anche dell’integrazione nelle comunità israelitiche, ricorrendo quando necessario alla lotta armata[6].

In breve tempo, gli assalti contro i palestinesi e i britannici divennero la norma, culminando in gesti eclatanti come l’attentato al centro amministrativo nell’Hotel King David (22 luglio 1946). Annoverato tra gli episodi più cruenti (91 morti) e criticabili della parabola indipendentista, esso costituiva il chiaro prodotto della rabbia accumulata da un certo numero di profughi, intenzionati a sfogarla attraverso feroci azioni di combattimento: sarebbe bastata un’occhiata al tatuaggio impresso nei campi di concentramento per far loro desiderare la libertà, a ogni costo.

Fu allora che le manovre intessute dai gruppi di pressione in Inghilterra e in America, la ferocia degli attacchi terroristici e, soprattutto, l’insostenibilità dei costi per il mantenimento delle truppe cominciarono a pesare su Londra, decisa a tutelare i suoi interessi petroliferi nel regno saudita e nel canale di Suez. Quando anche i cittadini manifestarono la propria insofferenza, l’esecutivo laburista di Attlee non poté far altro che arrendersi: il governo che aveva concesso l’indipendenza all’India, la gemma più preziosa di un impero in declino, riferì quindi all’ONU l’intenzione di rinunciare al mandato in Palestina.

Il 29 novembre 1947, forte dell’appoggio statunitense, l’Assemblea Generale approvò il piano di spartizione: a grande sorpresa, alcune realtà legate alla sfera sovietica avallarono l’iniziativa, incentrata sulla creazione di due Stati appartenenti a un’unione economica. L’entrata in vigore del disegno venne così fissata per il 14 maggio 1948, una data che sarebbe divenuta la ricorrenza ufficiale della nascita di Israele.

Pur adeguandosi alla risoluzione, gli attori in causa non avevano fatto mistero della loro contrarietà: del resto è sufficiente dare uno sguardo alla cartina allegata per comprenderne le ragioni, con gli ebrei relegati in territori suscettibili di venire isolati; per i palestinesi, le conseguenze dietro al proselitismo occidentale sono invece note come “la catastrofe” (nabka). La parte più triste dell’intera vicenda è che, nella maggioranza dei casi, coloro che erano stati accolti come vicini, compratori di terre e spesso collaboratori erano diventati, di punto in bianco, acerrimi nemici.

Forgiato da tre lunghi anni di schermaglie, il movimento clandestino era nel frattempo cresciuto in dimensioni e in esperienza grazie all’apporto della Jewish Brigade, veterana delle campagne d’Africa[7] e d’Italia. Tra le formazioni principali ricordiamo il summenzionato Palmach, la Haganah[8], l’Irgun[9] e la Leḥi[10], quest’ultime organizzazioni di matrice terroristica per loro stessa ammissione ma, parimenti, laboratori dai quali sarebbero usciti personalità di indubbio rilievo: Yitzhak Shamir, Yitzhak Rabin, Shimon Peres, Menachem Begin e Israel Tal. Sorrido pensando che, fra costoro, c’è anche un Premio Nobel per la Pace.

Al momento della sua fondazione (maggio 1941), il Palmach rappresentava la forza regolare degli Yishuv. Esso era nato per contrastare la minaccia incarnata dalle divisioni italo-tedesche, la cui avanzata in Egitto aveva spinto lo Stato Maggiore a contemplare un ripiegamento oltre il Canale. Questo piano prevedeva, tra le altre cose, l’impiego di piccole squadre d’assalto lasciate indietro per condurre azioni di guerriglia, sabotando le linee di comunicazione e seminando il caos nelle retrovie.

Il battesimo del fuoco risale invece all’estate seguente, quando diversi membri dell’unità parteciparono a operazioni di disturbo in Siria e in Libano: fu qui che l’ufficiale Moshe Dayan[11] venne colpito a un occhio da un cecchino francese, rendendo quella ferita coperta da una benda nera il suo tratto distintivo.

Con il capovolgimento delle sorti del conflitto, gli inglesi maturarono la volontà di sciogliere il corpo. Tale decisione non avrebbe però mancato di scontrarsi con il secco rifiuto degli ebrei, solerti nel trasformarlo in una branca semiclandestina dove l’estro, l’assenza di disciplina e di formalità regnavano sovrani.

Volgendo uno sguardo alla Haganah, è possibile coglierne le notevoli differenze rispetto al caso appena descritto: si trattava infatti di un raggruppamento paramilitare incaricato di proteggere l’immigrazione sionista, e che grazie alle forniture di armi americane contribuì alla lotta per l’indipendenza. Non fu certo un caso se, a partire dal 1945, furono destinati ingenti risorse all’occupazione dei territori rivendicati dal futuro Stato di Israele, soffocando ogni tipo di resistenza e violando ripetutamente i confini concordati. Una volta fusasi con l’esercito, nel maggio del 1948, la milizia avrebbe affrontato con successo gli avversari durante la prima guerra arabo- israeliana[12].

Se questi due reparti hanno combattuto come forze effettive (anche se non sempre con equipaggiamenti all’altezza), l’Irgun e la Leḥi si sono distinte per la condotta vessatoria in risposta alle violenze subite dai loro connazionali, spesso perpetrate dai musulmani con la connivenza del governo britannico. I crimini commessi restano ingiustificabili, dal momento il terrorismo non conosce alcun diritto d’appello, ma è altrettanto vero che ciascun episodio assume una connotazione diversa a seconda di chi è il vincitore e chi il vinto.

Gli stessi Benjamin Franklin, Thomas Jefferson e George Washington furono additati, ai tempi della dichiarazione di indipendenza, alla stregua di pericolosi sovversivi, così come quei rivoluzionari francesi che un quindicennio dopo giustiziarono gran parte della nobiltà francese. Nella storia dell’uomo, o per meglio dire delle umane nefandezze, il confine fra l’estremista e il politico si esaurisce nella vittoria dell’uno sull’altro.

Nonostante le innumerevoli persecuzioni a opera di spagnoli, russi e tedeschi, i primi insediamenti nella “Terra promessa” non ebbero vita facile. Oltretutto, la ferita rappresentata dall’Olocausto non aveva stemperato in alcun modo l’intolleranza verso i figli di Abramo, finendo paradossalmente per esacerbarla: una chiara testimonianza del fatto che la simpatia nei confronti dei sopravvissuti non era sempre genuina. Fu questo sentimento ad alimentare, in Medio Oriente, lo sfoggio di una ferocia e di un’aggressività troppo a lungo represse.

Ed ecco contestualizzati gli attacchi al King David Hotel e al Semiranis (5-6 gennaio 1948), atti terroristici volti a punire il comportamento di una potenza mandataria, l’Inghilterra, per la quale centinaia di giovani avevano dato la vita combattendo. Uno Stato che ora, in nome dell’accesso al petrolio e alle vie commerciali, li ripagava appoggiando chi aveva cospirato coi nazisti.

Ciò che più colpisce di tale circostanza è l’utilizzo di due pesi e di due misure. Durante il conflitto mondiale, gli arabi avevano sostenuto militarmente e politicamente l’Asse, al punto che il Muftì di Gerusalemme santificò l’arruolamento di truppe musulmane nelle SS, incontrandosi perfino con Hitler. Al contrario, gli ebrei della Palestina e i reduci della Shoah avevano sempre favorito l’Inghilterra, culla del liberalismo, ad onta di uno squallido atteggiamento coloniale: forse perché il sionismo aveva trovato in Walter Rothschild il proprio paladino, tanto che il ministro degli esteri Arthur Balfour lo aveva supportato con l’omonima dichiarazione, autentica Magna Charta Libertatum per qualunque ebreo perseguitato.

Con il cessate il fuoco imposto dall’ONU, Israele sarebbe finalmente divenuta uno Stato indipendente, patria ancestrale del “popolo eletto”. Una nazione dai confini fragili, ma le cui forze armate temprate da anni di guerra avevano dimostrato di poter ribaltare qualsiasi pronostico.

Ed era “solo” il 1949.

È per la malvagità di queste nazioni che Geova Dio tuo le caccia dinanzi a te”

(Deuteronomio 9:5)

Aldo Ciappa

La Minerva

Classificazione: 5 su 5.

NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

[1] L’unità era nota sia coi nomi di Chativah Yehudith Lochemeth, ossiaForza di combattimento ebraica”, che di Tilhas Tizig Gesheften, letteralmente, «leccami il sedere».

[2] Yishuv (in ebraico: ישוב, letteralmente “insediamento”) Termine indicante l’insediamento ebraico in Palestina prima della nascita dello Stato di Israele, comprendente sia gli ebrei giunti dall’Europa con la prima aliyah sionista del 1882 (il cd. «nuovo y.») sia quelli presenti in precedenza (il «vecchio y.»). [cfr. Treccani]

[3] Balfour, Arthur James 1º conte di. – Statista inglese (Whittinghame 1848 – Woking 1930). Deputato conservatore dal 1874, fu primo ministro dal 1902 al 1905. Come ministro degli Esteri fu estensore del messaggio noto come dichiarazione Balfour (1917), con il  quale  il governo britannico  si impegnava a facilitare “la creazione in Palestina di una sede nazionale per il popolo ebraico” senza “pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina, o i diritti e lo status politico goduti dagli Ebrei in qualunque altro paese”[cfr. Treccani]

[4] Per una strana coincidenza, le rotte di queste migrazioni si sovrapponevano a quelle utilizzate dall’ODESSA, l’organizzazione creata dalle SS per far fuggire i propri membri alle ricerche degli Alleati.

[5] La parola Palmach deriva dall’ebraico “פלמ, abbreviazione di מחץ פלוגות Plugot Maḥaṣ [pluˈgɔːt ma’χaːts] (compagnie d’attacco).

[6] Tali azioni di disturbo garantivano uno spazio di manovra sufficiente a distrarre gli inglesi dall’introduzione dei profughi.

[7] La Jewish Brigade comprendeva numerosi veterani del Palestine Regiment, formatosi nel 1941 in seguito all’arrivo del Deutsche Afrika Korps. Al momento di evacuare la regione gli inglesi, che avevano costruito svariati fortini come accantonamenti per le truppe e per i rifornimenti, si erano però guardati bene dal svuotarne il contenuto, incoraggiando gli arabi a servirsene. Nondimeno, è innegabile che molti ufficiali abbiano agito controcorrente, favorendo i kibbutzim nella ricerca delle armi.

[8] La parola Haganah deriva dall’ebraico: ההגנה Ha Haganah,, cioè “La Difesa”.

[9] Il termine Irgun (ארגון) costituisce l’abbreviazione di Irgun Tzvai Leumi (לאומי צבאי ארגון), ebraico per “Organizzazione Militare Nazionale”.

[10] La Lehi (lɛxi, ebraico: ילח, acronimo per ישראל חרות לוחמי Loḥamei Ḥerut Israel, Combattenti per la Libertà d’Israele) è in genere conosciuta con il nome di Banda Stern.

[11] Militare e uomo politico israeliano (Degania 1915 – Tel Aviv 1981), di famiglia originaria dell’Ucraina. Giovanissimo aderì alla Hagānāh, l’organizzazione militare sionista in Palestina durante il mandato britannico, e fu imprigionato dal 1939 al 1941; comandante di brigata nel 1948, fece parte della delegazione israeliana nelle trattative che portarono all’armistizio con la Giordania (Rodi, apr. 1949). Capo di stato maggiore dell’esercito (1953-58), comandò le forze israeliane durante la campagna del Sinai (ott.-nov. 1956). Deputato dal 1959, ministro dell’Agricoltura (1959-64), nel giugno 1967 assunse la carica di ministro della Difesa e nella guerra dei 6 giorni contro Egitto, Giordania e Siria contribuì alla vittoria d’Israele. Criticato per l’impreparazione dimostrata dalle forze armate israeliane nella guerra del 1973, fu  costretto  a  lasciare  il ministero della Difesa nel 1974; dal 1977 al 1979 fu ministro degli Esteri nel gabinetto Begin [cfr Treccani].

[12] Al termine del conflitto, Israele si ritrovò in possesso di un territorio maggiore di quello previsto in origine: circa 20.700 km², con una popolazione di oltre 715.000 ebrei.

  • Enciclopedia Treccani
  • British Encyclopedia
  • LaPierre &  Collins,  Gerusalemme! Gerusalemm!
  • RID
  • Interconair Eserciti & Armi
  • Garribba, Lo Stato di Israele
  • http://www.pbmstoria.it
  • N. Weinstock, Storia del sionismo
  • Menachem Begin, The Revolt – Memoirs of the leader of the Irgun
  • http://www.archiviolastampa.it/
  • Leon Uris, Exodus/ QB VII / Mitla Pass / Hagj
  • Claudio Vercelli, https://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/servizi/la-brigata-ebraica
  • The Jewish Brigade in World War II, tratto da newwestend.org.uk
  • Il Palmach, su laltraisraele.wordpress.com
  • Hodder & Stoughton, Peace in the Holy Land: An Historical Analysis of the Palestine Problem.
  • Alan Brooke Viscount Alanbrooke, War Diaries 1939-1945
  • Correlli Barnett, I generali del deserto

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